Roger Waters si arrampica ancora sul Muro dei Pink Floyd

Roger Waters si arrampica di nuovo sul «muro» The Wall, 30 dopo averlo costruito coi Pink Floyd. Da allora l’incubo di un solo uomo, votato all’isolamento, s’è ribaltato in un simbolo di libertà buono per tutti gli usi, e al tempo stesso il più spettacolare esempio di teatro rock.
Non è né una rievocazione nostalgica ne un moderno remake; le canzoni sono quelle dell’opera originale, da In the Flesh a a Another Brick In the Wall chiudendo con una versione folkeggiante di Outside the Wall. Nella scenografia molto è cambiato, grazie al genio di Gerald Scarfe (che ha lavorato con Disney e animato le opere più trasgressive dei Pink Floyd), senza snaturare nulla. Un boato nel buio e un disperato suono di tromba anticipano gli accordi violenti di In the Flesh. Il muro, anche nel debutto di ieri al Forum di Assago a Milano, viene costruito mattone per mattone come un tempo (vengono piazzati 242 mattoni in tre quarti d’ora per separare gli artisti dal pubblico) ma ora è molto più grande e serve anche da megaschermo. Su quella parete (che pian piano si sgretola) e su un enorme schermo circolare in fondo al palco 23 proiettori trasmettono immagini ad alta risoluzione: l’immagine del sottotenente Eric Waters in uniforme (il padre di Roger, caduto in battaglia a Danzica, l’evento che scatenò la crisi emotiva di Waters, tanto da ritirarsi dietro una barriera psicologica e non solo) e poi una cruda galleria di soldati morti in Irak come in Afghanistan, slogan di politici, e aerei animati che sganciano bombe a forma di stella di David, di Falce e martello, di Crocefisso e di simboli della Mercedes. Insomma tutti i presunti «muri» della storia più recente.
La potenza della musica, la mirabolante kermesse di effetti e luci abbaglianti (un centinaio di luci mobili che volteggiano come ufo sul soffitto per una potenza di 3mila ampère), le splendide animazioni in 3D lo Stuka che piomba sulle teste degli spettatori e precipita in una palla di fuoco - accoppiate alla musica - emozionano e fanno sensazione fino al crollo totale del muro, ma stridono con la nuova visione ossessivamente (e a tratti pretestuosamente politica) di Waters.

È un muro per tutti gli usi: l’ha ricostruito a Berlino nel ’90 per il crollo di un ben più infausto muro (e va bene), lo usa come ricordo e «lamento funebre» per il padre (e passiamogliela) istigando i fan a postare su Facebook immagini e ricordi da proiettare durante lo show, ma ora lo cavalca come una tigre del pacifismo ad oltranza. «Il nuovo The Wall è dedicato a tutta l’innocenza persa in questi anni», spiega Waters, dimenticando che molti preferiscono il grande musicista al riottoso predicatore.

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