Col passo degli americani, avremmo in carcere lequivalente di una città come Bologna o Firenze. Più o meno, mezzo milione di detenuti. LItalia «blindata» sarebbe un paese più sicuro? Fabio Roia, giudice al tribunale di Milano e componente del Csm, invita alla cautela: «Il nostro sistema è inefficiente, però dobbiamo stare attenti ai paragoni».
I numeri ingannano?
«Dobbiamo valutare paese per paese. Da noi tutte o quasi le pene fino a tre anni non vengono scontate perché viene concesso laffidamento in prova ai servizi sociali. Cosa succede a Londra o Parigi? Gli Usa poi hanno un sistema del tutto diverso. Là va in galera anche chi guida in stato di ebbrezza. Inoltre, a far impennare le statistiche, ci sono problemi specifici: la minoranza afroamericana ha dati impressionanti, un nero su 9 nella fascia detà fra i 20 e i 34 anni è in galera».
Daccordo, ma la galera in Italia è un po una lotteria. Esiste la certezza della pena?
«Purtroppo no. Il carcere italiano è un luogo di transito: circa 35mila detenuti entrano e escono nellarco di un anno, con una permanenza media di un mese. Si sta in cella nella fase della custodia cautelare, non dopo».
Il contrario di quel che dovrebbe essere?
«Esatto. Daltra parte abbiamo processi sfiancanti, lunghissimi e con prescrizioni incombenti. In ogni caso, non si può tenere in cella allinfinito chi non sconta una pena definitiva. E allora, tutti i giorni scoppia lo scandalo: il pedofilo rimesso in libertà che torna a colpire, il figlio di Riina scarcerato dopo 6 anni di carcere».
Altro dato da studiare: il 78 per cento dei reati resta impunito. Non sono numeri sconvolgenti?
«Guardi, ci sono reati in cui il colpevole la fa franca il 99 per cento delle volte. I furti di auto o ciclomotori, quelli in casa, gli scippi».
Di chi è la responsabilità? Della magistratura?
«È facile puntare il dito contro i pubblici ministeri, ma come si fa a prendere chi porta via un motorino? La soluzione, lunica realistica, si chiama prevenzione».
Controllo del territorio?
«Sì. Se le strade sono pattugliate con frequenza, la sensazione di impunità diminuisce. Così come si affievolisce quando cè la certezza della pena. Purtroppo cè un cortocircuito continuo che non si riesce a fermare».
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