da Milano
Il dolore è un bagaglio che lo accompagna sempre: «Era una sera di febbraio del 1996. Mio padre attraversava la strada sulle strisce: unauto lo investì in pieno e lo uccise sul colpo». Fabio Roia, oggi giudice e consigliere al Csm, allora era Pm alla Procura di Milano: «Combinazione, prima di cena decisi di andare a trovare i mei genitori, nel quartiere di Città Studi. Papà non era ancora rientrato, e mamma era preoccupata. Arrivò una telefonata, risposi io. Era un vigile, sapeva che ero un magistrato, anzi mi conosceva e andò subito al dunque: cè stato un incidente e suo papà è morto. Corsi al San Raffaele, ma ormai era tardi, troppo tardi. Restammo soli io e la mamma con le nostre lacrime».
Undici anni dopo, quella sofferenza è sempre lì. «Per carità, non era unauto pirata, quella persona si fermò subito e forse cercò anche di soccorrere mio padre. Però andava a 90 chilometri lora, ben oltre il limite di velocità. Mio padre aveva 75 anni, uscì di scena così, con la più assurda delle morti. Una morte che mi lasciò sgomento e che in fondo non ho mai accettato. Mai».
Roia è un giudice di grande esperienza, ha condotto inchieste delicatissime, oggi a Palazzo dei Marescialli deve mediare fra le diverse politiche e proposte. Però non è facile trovare lequilibrio fra le competenze del tecnico e il dramma attraversato. Prova a riassumere, coniugando passato e presente: «Io comprendo lindignazione davanti a queste tragedie senza senso che riempiono i giornali e sembrano moltiplicarsi. Pensi: quando io ero in Procura, proprio allepoca del mio dramma, cerano in media due segnalazioni al giorno di incidente mortale. Per fortuna, non ero io di turno quando arrivò quella telefonata. Ma il problema resta».
Il bilancio, come uomo e come giudice, è fallimentare: «Quel signore patteggiò una condanna a 6 mesi per omicidio colposo. Niente da dire, non aveva assunto droghe, non era ubriaco, però da un punto di vista generale, della collettività, quel processo non è servito a niente. Voglio dire: le pene per i reati colposi, come lomicidio, sono virtuali. Non vengono scontate e poi non sono di monito, non incidono sulla mentalità comune, non spingono a far ritrovare quel senso civico che è andato smarrito. Si potrebbe ragionare sul filo del bene comune: almeno una morte così dolorosa ha scioccato lopinione pubblica e è stata utile per evitare altri lutti. Ma no, non è vero: non è cambiato nulla. A parte il fatto che nel punto in cui mio padre fu travolto hanno messo un semaforo. Le morti si susseguono e spesso ci sono i sintomi, i segnali premonitori del dramma che incombe e che puntualmente scoppierà».
Roia entra nei dettagli: «Ci sono persone incapaci di stare alla guida, come testimoniano sospensioni e ritiri della patente; persone che si drogano o bevono quando si mettono al volante. Per un motivo o per laltro non si riesce a fermarle in tempo e poi altri si trovano nelle stesse condizioni che abbiamo patito io e mia mamma». E un discorso tagliente, quello dellex Pm. Che poi frena: «Attenzione, non chiedo modifiche legislative dettate dallemotività, sappiamo che lopinione pubblica ha gli umori del pendolo, ma non dobbiamo seguirli tradendo il principio di legalità che è la base della convivenza civile. Però dobbiamo immaginare soluzioni adeguate ai tempi».
Il discorso si fa inevitabilmente tecnico. «Qualche giudice contesta lomicidio volontario, ma mi pare che questa impostazione non stia in piedi. Siamo invece nel campo dellomicidio colposo, ma si potrebbe, con unopportuna modifica al codice, definire meglio la fattispecie criminosa che è quella della colpa cosciente. Chi si mette al volante dopo aver bevuto mezza bottiglia di vino e poi ammazza un ragazzo deve essere giudicato per colpa cosciente. Con una pena più alta rispetto a quella dellomicidio colposo classico».
Non basta: «Davanti a tragedie che diventano fenomeni sociali sarebbe bene adottare punizioni immediate e concrete.
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