A Udine, la Roma di Ranieri in versione riveduta e corretta, risparmiando preziose energie in vista della sfida con la Samp, ha ridotto al minimo consentito i danni, e incassato la finale di coppa Italia da dividere con l'armata di Mourinho. Non è una perfomance qualunque, è il riconoscimento di qualità del gruppo, cifra tecnica della rosa a disposizione, oltre che tenuta stagna della difesa sottoposta alla pressione dei friulani che hanno sfiorato i supplementari (si sono fermati sull'1 a 0).
Se questo traguardo (chè sempre di una finale si tratta, mancata per esempio da altre squadre dello stesso segmento, Milan e Juventus per fare un nome e un cognome)viene addizionato al primato in classifica dopo un inseguimento incredibile, partito da sotto zero e trasformato dal recente contro-soprasso in una gemma, si ottiene un risultato sul quale è bene soffermarsi per valutarne la portata oltre che i meriti.
Sul piano squisitamente tecnico, si può affermare che la rosa, già competitiva, è stata cementata dalle due mosse effettuate nel corso del mercato di gennaio. Gli arrivi, in prestito gratuito, di Burdisso in difesa (che ha tolto il posto a Mexes e reso di ferro una difesa che sembrava invece fatta di burro) e di Toni in attacco (per riparare soprattutto alla lunga assenza di Totti) hanno consentito a Ranieri di aggiungere due puntelli di cemento armato a una struttura già molto solida. Non solo il cambio di modulo tattico, l'utilizzo di Taddei da centrocampista aggiunto, più il rilancio di Perrotta, e la fiducia completa in Julio Sergio, «terzo portiere più forte del mondo» secondo la famosa definizione di Spalletti, hanno fatto il resto.
A questo punto viene da chiedersi come abbiano fatto Ranieri e la società a realizzare questo strepitoso risultato. Spalletti si arrese dopo le prime due domeniche scandite da altrettante sconfitte, i tifosi cominciarono a contestare in modo aperto Rossella Sensi e la famiglia chiedendo loro di farsi da parte, per cedere il pacchetto di controllo azionario della Roma al primo arrivato.
I tifosi, naturalmente, cominciarono a fare pressioni, con striscioni e contestazione strisciante, mentre i media romani e romanisti in particolare si schierarono subito dalla parte del cambio della guardia. E adesso fanno finta di niente e saltano come specialisti sul carro del vincitore dimenticando che in quei mesi lavorare, per gente tipo Pradè, Bruno Conti, Montali e soci, fu davvero dura, durissima.
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