Non erano vuote le borse che Liyan Zheng e suo marito Zeng Zhou hanno voluto difendere dalla furia dei rapinatori che mercoledì sera, a Torpignattara, a Roma, hanno massacrato la loro famiglia, uccidendo lui e la figlioletta, Joy, di nove mesi soltanto. Dentro c’erano soldi, tanti soldi, almeno diecimila euro in contanti in banconote di vari tagli che gli assassini hanno nascosto in un luogo che ritenevano sicuro. Perché? Forse in attesa che si calmassero le acque dopo aver lasciato sull’asfalto il sangue di una bambina innocente e del suo giovane papà e una mamma, in un letto d’ospedale, che si ostina a negare una realtà troppo difficile da accettare. I balordi, però, nella fretta hanno dimenticato di togliere il cellulare della coppia da una delle due borse. E proprio grazie al telefonino i carabinieri sono riusciti ad agganciare la cella e a localizzare l’area dove si trovava la refurtiva. Il ritrovamento del borsello pieno di soldi del commerciante cinese e della borsa della moglie fa leggere agli inquirenti la vicenda sotto una luce diversa. Non necessariamente una rapina finita in tragedia messa a segno dalle mani maldestre di qualche tossicodipendente del Sert di zona, ma un omicidio con un movente diverso, forse economico,probabilmentelegato all’attività commerciale della famiglia di Liyan, arrivata anni fa in Italia in cerca di fortuna: prima il bar all’angolo con via Casilina e il matrimonio con Zeng, che subito si mette a lavorare con la moglie dietro al bancone, poi l’attività di money transfer in via Bordoni, alla Marranella. Il sogno di una vita, coronato il 16 marzo dalla nascita della piccola Joy. Tutto cancellato in una manciata di minuti per le strade di una città sempre più fuori controllo.
Oltre ai soldi e al cellulare all’interno delle borse c’erano documenti e alcuni effetti personali. Reperti che ora sono all’esame del Ris a caccia di impronte o altre tracce interessanti. I carabinieri del Nucleo investigativo di Roma le hanno ritrovate non lontano dal luogo dell’agguato,in un angolo ben nascosto. Gli investigatori continuano a indagare a 360 gradi nel più stretto riserbo e con non poche difficoltà dovute anche alla proverbiale chiusura della comunità cinese. Non è chiaro neppure come mai Liyan, unica superstite dell’agguato mortale, quando è stata sentita dagli inquirenti, seppur sotto choc, non abbia raccontato subito che dentro alla borsa del marito c’era tutto quel denaro. I tremila euro trovati addosso al commerciante ucciso, insomma, erano solo una minima parte dei soldi che Zeng ha difeso a costo della sua vita e di quella della sua bambina. Un proiettile per due, che prima ha trapassato la testa della piccola e poi si è conficcato nel cuore del papà. Difficile anche pensare che il denaro contenuto nella borsa fosse l’incasso del bar. Da dove provenivano allora tutti quei soldi? I rapinatori sapevano che i due coniugi cinesi proprio mercoledì sera trasportavano una somma notevole? Oppure potrebbe non essersi trattato di una semplice rapina ma di un regolamento di conti. Racket? Debiti non pagati? Ogni pista viene battuta. Le indagini si concentrano comunque sull’attività della famiglia e sull’esistenza di eventuali nemici legati agli affari del bar o dell’agenzia di money transfer, un’attività intorno alla quale girano quotidianamente migliaia di centinaia di euro e che spesso è obiettivo di assalti mirati. Gli investigatori stanno cercando di ricostruire attentamente la personalità di Zhou Zheng con l’obiettivo di escludere possibili moventi del duplice delitto diversi dalla rapina. Ieri la donna,tutt’ora ricoverata all’ospedale San Giovanni, è stata nuovamente ascoltata dagli inquirenti.
Il ritrovamento ieri pomeriggio di una pistola in una clinica della capitale dove sono ricoverati alcuni detenuti aidomiciliari aveva fatto pensare che l’arma fosse quella che aveva ucciso il commerciante cinese e la figlia. Un falso allarme, che per un momento aveva fatto pensare a una svolta imminente delle indagini. Sembra accertata, invece, la presenza di un terzo complice, oltre ai due uomini vestiti di nero e con il casco da motociclista, che aspettava i killer a bordo di uno scooter con il motore acceso con il quale sarebbero fuggiti tutti e tre. Non sembra scontato, invece, come si pensava in un primo momento, che gli assassini fossero italiani. È stata la moglie della vittima a parlare di due uomini con un forte accento romano, ma la sua è l’unica testimonianza, non confermata da quella di altre persone ascoltate dagli investigatori.
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