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Ma Roma non rischia la sindrome greca

nostro inviato a Cernobbio

Se l’economia, scienza comportamentale, è metereopatica; se, cioè, gli umori degli economisti possono essere influenzati dalle condizioni del tempo, giornata più cupa non si poteva trovare. A Villa d’Este - dove personalità illustri si sono riunite per uno dei periodici incontri Ambrosetti - la luce nebbiosa e livida del lago di Como ha depresso gli animi in perfetta sintonia con i temi dibattuti a porte chiuse, e poi centellinati dall’alto ai giornalisti: lo stato della crisi, i timidi segnali di ripresa, i rischi che presenta il futuro. Ha tenuto banco la Grecia, la zavorra dell’euro, all’indomani dell’arrivo delle stampelle di Bruxelles: esulta il vicepresidente della commissione europea, Antonio Tajani, per il «significato politico della decisione». Usa toni provocatori l’economista Giacomo Vaciago: «Dov’era l’Europa quando la Grecia imbrogliava? Imbrogliava già per entrare nell’euro, e lo sapevano tutti!».
La ripresa europea è lenta, a forma di U - osserva un altro professore di grido, Nouriel Roubini - anche per i freni provocati da Atene. Economie emergenti (Asia, Brasile) a parte, avanzano meglio gli Stati Uniti e il Giappone. E l’Italia? Anche qui i commenti sono concordi: ma sono relativamente più positivi. Dice Roubini - al quale viene riconosciuto di aver previsto la crisi, e che per questo ha quotazioni brillanti: «Da noi i rischi sono più bassi per più motivi, a cominciare dal fatto che non ci sono stati salvataggi di gruppi bancari, perchè il controllo della Banca d’Italia è stato migliore». L’azione di governo è stata positiva, ma c’è ancora molto da lavorare: «Sono necessarie riforme strutturali, che possano ampliare la ripresa economica e la produttività». Di analogo avviso l’economista Luigi Zingales, professore a Chicago, secondo il quale «l’Italia è messa relativamente bene nel breve termine e relativamente male nel lungo. Nel breve - ha detto - «bisogna dare atto al ministro dell’Economia Giulio Tremonti di una politica molto accorta in un momento molto difficile, perché il deficit è cresciuto ma in maniera moderata rispetto ad altri Paesi». Nel lungo periodo, invece giocano contro di noi la bassa competitività, soprattutto nei confronti della Germania, una forza lavoro «fondamentalmente poco istruita» e «un sistema ancora poco meritocratico e competitivo».


Al grande quesito sull’inflazione che ci aspetta nei prossimi anni, Roubini risponde con pacatezza e rassicura: «In questo momento il vero pericolo è la deflazione» che sgonfia e smonta le dinamiche dell’attività economica. Se inflazione ci sarà, sarà «a medio termine, non prima del 2011».

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