Roma Il Babbo Natale anarchico porta in dono alle ambasciate romane un giovedì di sangue e paura. Due pacchi bomba esplodono a poche ore di distanza nelle sedi delle rappresentanze diplomatiche di Svizzera e Cile, ferendo in modo grave due dipendenti e facendo insorgere la psicosi-attentati in decine di uffici, per la gran parte concentrati nel raggio di pochi chilometri nei quartieri-bene della capitale. E Roma vive l’ennesima giornata di tensione, dopo le proteste degli studenti, gli scontri, le zone rosse, l’allarme bomba di tre giorni fa alla metropolitana. Per molte ore la pista anarchica sarà la più battuta, trovando conferma nella rivendicazione da parte della Fai-Federazione Anarchica Informale (gli stessi degli attentati del 2003-2004) contenuta in una piccola scatola trovata accanto a uno dei feriti e resa nota solo in serata.
È mezzogiorno quando il primo pacco esplode tra le mani di un cinquantatreenne di nazionalità svizzera, addetto allo smistamento della posta dell’ambasciata elvetica, in via Barnaba Oriani, nel cuore dei Parioli. Le condizioni dell’uomo appaiono subito serie: viene trasportato d’urgenza al policlinico Umberto I e qui sottoposto a un lungo intervento alla mano sinistra. Per qualche ora si teme l’amputazione dell’arto, poi scongiurata. «Siamo riusciti a fare una buona ricostruzione e pensiamo che alla lunga l’uomo dovrebbe recuperare buona parte della funzionalità della mano sinistra», spiegherà dopo l’intervento Niccolò Scuderi, direttore della divisione di Chirurgia plastica del Policlinico Umberto I di Roma.
Nemmeno il tempo per la Procura di Roma di aprire un fascicolo, affidato al procuratore aggiunto Pietro Saviotti, capo del pool antiterrorismo, che procede per attentato con finalità di terrorismo, e a un paio di chilometri di distanza, in via Po, un altro pacco bomba ferisce Cesar Mella, 46 anni, funzionario non diplomatico dell’ambasciata del Cile. Anche lui riporta ferite piuttosto serie alle mani (perderà due dita) e all’occhio e viene trasferito all’Umberto I. Il pacco risulterà poi spedito dall’Italia. «È un atto terroristico brutale che non riusciamo a spiegarci. Il pacco bomba era destinato all’addetto culturale dell’ambasciata - spiegherà l’ambasciatore cileno, Oscar Godoy -. Non abbiamo avuto alcuna minaccia o informazione che ci facesse pensare di poter essere obiettivo di atti ostili».
La psicosi scatta immediatamente: qualcuno dall’ambasciata dell’Ucraina, in via Guido d’Arezzo, segnala un plico sospetto, ma gli artificieri immediatamente accorsi si trovano davanti a un semplice messaggio di auguri natalizi. Pacchi sospetti sono segnalati anche nell’ambasciata della Slovenia in via Pisano e in quella estone in viale Liegi, ma in entrambi i casi si rivelano falsi allarmi. Così come si rivelano un bluff due telefonate anonime che in mattinata segnalano la presenza di ordigni in edifici del Comune di Roma, in una sede distaccata del primo dipartimento, in via del Tempio di Giove, vicino al Campidoglio, e in piazza Marconi all’Eur, dove quattrocento persone sono in quel momento concentrate per un concorso interno.
Ma l’allerta non si placa: verifiche sono immediatamente disposte in tutte le ambasciate e le sedi diplomatiche romane ed eseguite dalla questura in stretto contatto con il ministero degli Esteri. Ed è proprio Franco Frattini, il titolare della Farnesina, a dare il senso della preoccupazione vissuta per tutta la giornata: «I pacchi bomba esplosi in due ambasciate a Roma sono un fatto grave in sé e una minaccia grave alle sedi diplomatiche», afferma il ministro, che comunque invita «alla cautela e a evitare allarmismi».
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