Vernice rossa e vie per Floyd: il blitz vandalico al Pincio

Il busto del generale Antonio Baldissera al Pincio imbrattato con la vernice fucsia e via dell'Amba Aradam trasformata in via George Floyd. La rivendicazione dalla Rete Restiamo Umani: "Il passato coloniale italiano è un crimine"

Vernice rossa e vie per Floyd: il blitz vandalico al Pincio

"In fermo sostegno alle e ai manifestanti che a partire da Minneapolis hanno riempito le piazze di decine di città del mondo per manifestare contro il razzismo strutturale e hanno deposto simboli di un passato coloniale sempre rimosso, iniziamo ora a smantellare i simboli del colonialismo nella Capitale". È il Black Lives Matter "all’amatriciana", quello che è andato in scena stanotte a Roma.

Dopo l’assalto alla statua del giornalista Indro Montanelli a Milano, un altro collettivo ha deciso di passare all’attacco. Stavolta ad essere preso di mira è stato il busto di Antonio Baldissera. Gli attivisti della Rete Restiamo Umani gli hanno rovesciato sulla testa una bottiglia di vernice fucsia. Un nome, quello del generale che guidò le truppe italiane in Eritrea e fu governatore della antica colonia, che si perde nelle pagine dei libri di storia. Eppure oggi, sull’onda delle proteste anti-razziste e anti-colonialiste che vanno in scena in tutto il mondo, è diventato insopportabile alle orecchie degli attivisti di sinistra.

Per questo la sua statua in marmo, che adorna il giardino del Pincio assieme a quelle di altri italiani considerati illustri, è stata deturpata dai dimostranti. "Il passato coloniale italiano", sono convinti, "non è un lustro" ma "un crimine". E, quindi, "come tale va trattato". "Appare evidente la necessità di riportare una narrazione storicamente veritiera del colonialismo italiano, delle brutalità compiute da uomini che ancora oggi le nostre istituzioni continuano a celebrare come grandi personaggi che hanno plasmato la cultura di questo paese, rimuovendo la verità sulle violenze e gli stermini compiuti dagli italiani in Africa", scrive la Rete antirazzista nel comunicato di rivendicazione del gesto, diffuso via social.

"Nessuna contestualizzazione storica dell’operato di questi uomini, assassini e violentatori, deve distrarre e far venir meno il rifiuto convinto per quegli avvenimenti che hanno inquinato la nostra società, perché è su di essi che è stato costruito un mondo iniquo e violento in cui il valore della vita si misura in base al colore della pelle", continua il testo. Il gruppo si è poi spostato a San Giovanni, dove le targhe di via e largo dell’Amba Aradam sono state coperte con i nomi di George Floyd e Bilal Ben Messaud, 28enne tunisino morto lo scorso 20 maggio a Porto Empedocle dopo essersi gettato dalla nave quarantena per cercare di raggiungere la terraferma.

"Alcune nostre strade richiamano stragi vergognose compiute dai soldati italiani in Etiopia, come via dell'Amba Aradam – scrivono dal collettivo - alcuni monumenti conferiscono invece gloria eterna a uomini colpevoli delle peggiori atrocità verso il genere umano; ciò va rafforzare una narrazione che continua a negare la violenza che ha caratterizzato l'espansione coloniale dei paesi europei, Italia compresa, e va a celebrare e giustificare la supremazia bianca". "È quindi fondamentale – continua il post - che il ruolo che queste figure e questi fatti hanno ricoperto nella storia venga smascherato e rinarrato senza nessuna celebrazione ‘monumentale’, ponendo fine al racconto colonialista ad opera degli oppressori".

La proposta, quindi, è di cambiare la toponomastica e di intitolare la nuova fermata della metro C non più al monte che diede il nome alla battaglia contro le truppe del ras etiope, ma alle vittime del razzismo. La rivoluzione iconoclasta però non convince. E così il post pubblicato su Facebook viene bersagliato da decine di commenti negativi. "Un monumento ha anche funzione di ammonimento, oltre che celebrativa – scrive un utente – distruggerli è doppiamente sbagliato, perché significa rimuovere la memoria storica e far sì che le nuove generazioni non ricordino il passato, anche con le sue ombre".

"Cambiare il nome a Via Amba Aradam, per quanto nasca da intenti nobili, raggiunge esattamente l'effetto opposto, solo ricordando il passato coloniale dell'Italia, lo si può

condannare - osserva, qualche riga più sotto, anche Andrea F. - per lo stesso motivo per cui i campi di concentramento non sono stati abbattuti ma sono ancora lì a testimonianza di una pagina negativa della storia".

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