Cronaca locale

Nel Lazio sanità in ginocchio. Ma gli ospedali vengono lasciati marcire

La sanità del Lazio fatica a fronteggiare la seconda ondata. Perché la Regione non usa le ex strutture ospedaliere?

Nel Lazio sanità in ginocchio. Ma gli ospedali vengono lasciati marcire

Mentre gli ospedali del Lazio sono presi d’assalto e le ambulanze sostano ore fuori dai pronto soccorso prima di poter sbarellare i pazienti Covid, ci sono ex strutture ospedaliere che stanno letteralmente marcendo. Una di queste è l’ex ospedale Carlo Forlanini.

Una cittadella ormai disabitata, circondata da terrazze e giardini, che si estende per 170mila metri quadrati. Si presenta così, tra corridoi desolati e tracce di bivacchi, l’ex sanatorio di Roma. Inaugurato nel 1934 per isolare e curare i malati di tubercolosi, nel 2015 è stato chiuso definitivamente per far quadrare il bilancio regionale. Da allora, questo patrimonio di circa 4mila posti letto, che vantava attrezzature ed impianti all’avanguardia, è rimasto alla mercé dei vandali e dello scorrere inesorabile del tempo.

Ben prima che lo tsunami sanitario travolgesse le nostre vite, Massimo Martelli, ex primario di chirurgia toracica al Forlanini, ha iniziato a battersi affinché venisse riaperto. Oggi più che mai. Tanto che la scorsa primavera ha lanciato una petizione su Change.org, raccogliendo 120mila sottoscrizioni. Un’idea strampalata per l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato, secondo cui "riattivare una struttura del genere richiederebbe mesi, forse anni". È veramente così? Il professor Martelli continua a sostenere il contrario.

"A suo tempo il Forlanini accoglieva 4mila pazienti con la tubercolosi, quindi una malattia altamente infettiva, oggi – sostiene il medico – basterebbero piccoli accorgimenti per riattivare a stretto giro almeno duecento posti letto da dedicare ai pazienti Covid, perché l’impiantistica c’è ancora tutta". "Se questa pandemia fosse arrivata prima, vi garantisco – continua Martelli – che questo ospedale avrebbe potuto dare una grande mano a risolvere i problemi della sanità della Regione Lazio".

È d’accordo anche Stefano Barone, segretario provinciale del Nursind, "vedere una struttura di queste dimensioni, completamente abbandonata, è un vero schiaffo ad operatori sanitari e pazienti che ogni giorno fanno i conti con la carenza dei posti letto e il sovraffollamento dei pronto soccorso". Ma quanto potrebbe costare la riattivazione di tutto il Forlanini? Martelli non ha dubbi: "Al di sotto dei 300 milioni".

Gli stessi soldi che la Pisana vorrebbe investire per ospitare all’interno dell’ex nosocomio l’Agenzia Europea per la Ricerca biomedica. Una richiesta avanzata all’Europa che potrebbe concretizzarsi grazie alle risorse del Recovery fund. "Portare a Roma l’Agenzia Europea darebbe senz’altro lustro alla città, ma in un momento difficile come quello attuale le priorità dovrebbero essere altre", annota la consigliera ragionale della Lega Laura Corrotti. Una di quelle che per la riqualificazione in chiave socio sanitaria dell’ex Forlanini battaglia già da diversi mesi. "Gli uffici dell’Agenzia – continua – potrebbero essere destinati a qualsiasi altra sede tra quelle facenti parte del patrimonio immobiliare regionale attualmente inutilizzate".

È a firma sua la mozione che chiedeva la riattivazione del polo ospedaliero, bocciata in blocco dal Pd e da una parte del M5s a inizio novembre. Fatto strano se si considera che la sindaca grillina Virginia Raggi ha fatto un sopralluogo al Forlanini una decina di giorni fa proprio per sollecitarne la riapertura. Un cortocircuito interno al Movimento, che sulla questione ha sempre avuto una posizione ondivaga. Anche nel 2016, infatti, una mozione analoga a quella regionale, presentata in Campidoglio da Alfio Marchini, registrò l’astensione dei pentastellati.

Ma il Forlanini non è l’unico ospedale ad essere stato consegnato all’abbandono. Spostandoci al centro di Roma, ci si imbatte nel portone chiuso del San Giacomo, dismesso nel 2008. Anche in questo caso c’è qualcuno che non si è mai rassegnato e lotta per rimetterlo in funzione. Stiamo parlando di Oliva Salviati, discendente del cardinale Antonio Maria Salviati, che donò l’immobile alla città di Roma nel 1620, a patto che venisse destinato alla cura dei malati. Una promessa tradita.

E pensare che nel 2007 la Regione Lazio, attuale proprietaria, aveva pure speso alcune decine di milioni di euro per ristrutturarlo. Salvo poi, dopo pochi mesi dall’intervento, dismetterlo. Oliva non se ne fa una ragione, se la prende con i tagli alla sanità e la speculazione edilizia. "Questo ospedale - denuncia l’erede del cardinale – è stato massacrato dalla Regione Lazio, perché così è più difficile riportarlo alla sua vocazione originaria, quella ospedaliera, e più facile specularci".

Tra i progetti che riguardano l’ospedale, che ora fa parte del fondo immobiliare i3-Regione Lazio, gestito dalla società Invimit, c’è quello di trasformarlo in parte in una "senior house". Altre aree potrebbero essere adibite anche a "spazi commerciali, sanitari, un ristorante e parcheggi". Ma la pronipote del cardinal Salviati si oppone ricordando il vincolo di destinazione d’uso.

"Al nord gli Alpini hanno rimesso in sesto in qualche settimana ospedali chiusi da vent’anni, quindi da molto più tempo rispetto al San Giacomo, recuperare questo ospedale non solo è possibile, ma è anche un dovere considerata la situazione che stiamo vivendo", ragiona Salviati.

"Tenerlo così è uno spreco, uno scempio, ma la volontà politica di recuperarlo - conclude con amarezza - mi pare che non ci sia".

Commenti