Politica

«Romano parla così per paura di Bertinotti»

Luca Telese

da Roma

Allora onorevole Carra, come se la spiega questa accelerazione di Prodi sulla proposta di ritiro dall’Irak?
«Ah no, non mi faccia parlare male del mio leader, mi raccomando...».
Non sia mai.
«Lei sa che ovviamente non condivido questa proposta. Ma non voglio fare nessuna polemica».
Le chiedo una interpretazione, semmai. È frutto della febbre da primarie?
«No, assolutamente no. Stimo abbastanza Romano per sapere che non si metterebbe in una impresa come questa per contendere quattro voti del Correntone a Bertinotti».
E allora?
«La spiegazione è in una visione politica più profonda, diciamo pure strategica dei rapporti nella coalizione».
Quale?
«La vecchia idea di non avere nessun nemico a sinistra: tenere ben saldo un baricentro di sinistra-centro per guidare la coalizione».
Come mai?
«Credo che in queste ore Prodi pensi già a quel che accadrebbe in caso di sua elezione al governo».
Non si tratta quindi di una mossa «alla Zapatero»?
«Assolutamente no. Zapatero, giusta o sbagliata che la si consideri, partiva da un’enunciazione di principio. Credo che Romano sia più pragmatico».
Cioè?
«Ha capito che con Bertinotti sulla scelta del ritiro potrebbe cadere il governo. Quindi si prepara da prima».
Ma elettoralmente, la proposta del ritiro pagherà o no?
«Ha dei pro e dei contro, che alla fine si bilanciano. Nel centrosinistra c’è un pezzo di voto idelogico che fa della fine della missione irachena addirittura un dogma: ma poi ci sono anche tanti elettori diciamo “riformisti”, di centro e di sinistra, che dopo gli attentati di Londra ci stanno pensando su».
E la classe dirigente dell’Ulivo, dopo gli attentati ha cambiato qualcosa nella sua analisi?
«Noto con piacere che la parte più liberal ha assunto un atteggiamento decisamente propositivo, soprattutto nella discussione sul pacchetto Pisanu sicurezza. Per me è un segnale confortante».
Dunque ormai sull’Irak la questione è chiusa nel centrosinistra?
«Al contrario. Credo proprio che il dibattito sia destinato inevitabilmente a riaprirsi: prevedo una discussione complessa e profonda».
Ma come è possibile, dopo questa presa di posizione di Prodi?
«Perchè la politica ha le sue regole ferree: questo giro si chiude così, ma non appena saremo al governo bisognerà tornare tutti a interrogarsi sul problema: certo, il dibattito avverrà in altra forma, mi immagino che il problema sarà quello di una diversa natura della missione».
Intende dire che si potrebbe restare, ma con un diverso mandato?
«Sì, questa missione, l’Antica Babilonia, era figlia dell’emergenza, e del dopoguerra. Ma se lì ci sarà ancora un governo legittimo che richiede la tua presenza... beh, io credo che sarà anche possibile discutere su come cambiare segno a questo intervento».
Quindi lei non è pessimista?
«Al contrario, credo che ci siano margini di rafforzamento per le posizioni dei riformisti: d’altra parte, anche se su tutt’altro piano, è di queste ore la bella notizia dell’elezione di Claudio Petruccioli alla presidenza della Rai».
Pensa che accordi tra poli di questo tipo possano ancora ripetersi?
«Me lo auguro. Anche perchè, Petruccioli è una personalità di indiscutibile onestà intellettuale. L’accordo sui vertici di viale Mazzini protrà durare almeno tre anni».


E lei non lo considera un inciucio?
«Macchè: buonsenso, direi».

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