Romanovsky, «imolese» in nome del pianoforte

Un occhio al mercato musicale, oggi più che mai centrato sull'immagine e dintorni, lo presta anche lui. Ma alla fine rimane un pianista duro e puro, di quelli concentrati sull'arte. Su una tastiera vissuta con grande fantasia, con il gusto del suono e la sicurezza manuale frutto d'istinto e di una speciale bottega: l'Accademia di Imola, e in particolare la classe di Leonid Margarius. È Alexander Romanovsky, ucraino, 24 anni, di cui sette già spesi in giro per il mondo pur senza i clamori riservati a pianisti alla moda, che sono poi il semplice prodotto di case discografiche. Stasera (ore 20.30) e sabato (ore 17), Romanovsky sarà al Teatro Dal Verme, ospite dell'Orchestra dei Pomeriggi Musicali con la quale esegue il Concerto op.49 di Dussek diretto da Yaniv Dinur, poi alle prese con la Sinfonia n.88. Romanovsky vive nei pressi di Imola, a un soffio dai Pausini che frequenta abitualmente: «con Laura siamo grandi amici, c'è una reciproca stima», ci spiega questo ragazzo che all'Italia deve tutto. Fu il Concorso Busoni a lanciarlo diciassettenne. E all'Italia promette fedeltà assoluta in nome di «tutti quanti, arrivato dieci anni fa, mi hanno aiutato». Perché una volta presa coscienza di questo talento fuori dal comune, i coniugi Romanovsky abbandonarono l'Ucraina, trasferendosi a Imola. «Siamo partiti da zero», ci dice. Lo zero fu la spinta per il prode Alexander e per il padre stesso, ora affermato imprenditore nel settore dell'imballaggio. Fedeltà a parte, per il salto vero è d'obbligo Londra. E Romanovsky lo sa, così s'è preso una casa anche lì, «questa città offre ai giovani musicisti possibilità sconfinate. I grandi manager sono a Londra, così come puoi incontrare direttamente un sacco di musicisti. È una città colta dove è naturale vedere persone benestanti che sostengono stagioni musicali o studenti impossibilitati ad affrontare corsi da 30mila euro l'anno». Lo dice con molta cautela, ma invitato a esprimersi sul tema della riduzione del numero di conservatori italiani, Romanovsky ammette che «sì, forse sono troppi». Una curiosità.

Abita non lontano da Maranello, e fra un paio di settimane suonerà in una rassegna promossa da Porsche Italia. Che rapporto ha con l'auto? «Ho una Volvo, guidare mi piace: è nel mio Dna, un po' come la musica. Mio nonno era un autista e pur standosene in Kazakistan ascoltava parecchia musica, aveva un debole per la napoletana».

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