Scrivono di sé o della metropoli, in prima persona o per metafore, mentre studiano o mentre lavorano. Sono i giovani, talvolta giovanissimi, esordienti milanesi, le promesse letterarie del domani. In un'annata felice per le opere prime - basti per tutti il successo del giovane torinese Paolo Giordano - anche Milano si dimostra feconda fucina di talenti. Alcuni si sono distinti per l'originalità dell'oggetto (Cardaci e Randa Ghazy), altri per lo stile (Cognetti o Miraglia).
Esce ora in libreria, per la collana Le Strade Blu di Mondadori, il libro di Federica Manzon, 26enne nata a Pordenone e milanese d'adozione (è editor nella casa editrice di Segrate): «Come si dice addio» racconta dello stage in Grecia di un gruppo di laureati italiani; la convivenza forzata e il passato di ciascuno faranno esplodere i conflitti.
Federica Manzon, i giovani spesso scrivono di giovani.
«La mia è una generazione meno impegnata nel sociale rispetto a quella precedente, quella di Saviano, per intendersi. Descriverci nel dettaglio è l'unico modo per uscire dagli stereotipi che ci vedono "generazione X" o vittime inermi del precariato».
Invece come siete?
«Viviamo distaccati dalla realtà come i protagonisti del mio libro, brillanti laureati dalle enormi aspettative che si bruciano nel cortocircuito della vita di tutti i giorni».
Che cosa rappresenta Milano per una come lei, venuta qui per frequentare un master in editoria e ora assunta a casa Mondadori?
«La sensazione di poter fare al meglio ciò che si vuole»
Il luogo comune recita che sia inutile mandare manoscritti alle grandi case editrici: tanto non li leggono. Vero?
«Falso.
I giovani milanesi con un romanzo nel cassetto sono avvisati.
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