Sergio Rame
Al centro di un mondo dove gli adulti sono sempre più distanti dai ragazzi e dove i giovani si fronteggiano e si battono per noia in continuazione, due «senza pelle» decidono di amarsi, di esporsi senza muri, offrendosi come vittime sacrificali di una possibile riconciliazione. Romeo e Giulietta, la più grande storia d'amore moderna rappresentata per oltre quattrocento anni, sarà in questi giorni sul palcoscenico del Teatro Nuovo.
Lo spettacolo di Maurizio Panici fa rivivere il tragico amore che si è consumato sotto i balconi della bella di Verona. Un dialogo diretto con il pubblico per raggiungere l'angolo più silente dell'anima e risvegliare quel forte senso di onnipotenza che si risveglia nel cuore umano quando batte per amore o per odio. Con alcuni distinguo. La pièce di Panici, infatti, recupera dalla grande tradizione elisabettiana la figura di un coro, testimone e al tempo stesso protagonista della tragedia: Frate Lorenzo, costruttore di atmosfere, evocatore di paesaggi, testimone dei fatti.
Accanto alla sua voce, la musica diventa elemento fondamentale per parlare direttamente ai sentimenti degli spettatori. Massimo Nunzi passa, con estrema semplicità, da suoni antichi a motivi più marcatamente violenti, da passaggi poetici a ritmi solleciti. «Lo scopo di questo spettacolo - spiega il regista - è quello di raccontare una grande storia d'amore in un contesto di sentimenti primordiali e violenti quali il mondo delle due famiglie veronesi: i due ragazzi si battono con foga, amano nello stesso modo, si scherniscono, si deridono ma quando la morte fa la sua apparizione cambiano, maturano e infine diventano uomini».
Una storia magica. Un linguaggio violento capace di far rivivere sul palcoscenico le celebri sfide tra Montecchi e Capuleti. «Abbiamo cercato di mostrare come i due protagonisti - continua Panici - si muovano sullo sfondo di sentimenti tribali, sottolineati da una musica fortemente cupa e percussiva, ma piena di energia e vitalità».
Tornare oggi a questa grande storia d'amore significa riportare in vita un mondo che non è mai stato dimenticato. Dalla baldanza di Mercuzio, che brucia la sua esistenza con generosità e sprezzante gusto per la provocazione, all'universo trasognante dell'inquieto Romeo, sorpreso dall'amore, ancora prima che dalla vita. Infine Giulietta.
«È una novella Giovanna d'Arco, che con decisione prende in mano il suo destino - continua il regista - e si proietta in un futuro pieno di incognite e mistero mettendo in discussione l'ordine famigliare e sociale, sovvertendo le regole del gioco e innamorandosi del nemico, riconoscendo nell'amore che porta a Romeo un elemento di riscatto per quell'odio che da sempre divide le due famiglie veronesi».
L'amore diventa la chiave universale e l'elemento di pacificazione superando qualsiasi classe sociale precostituita e travolgendo ogni limite dato dalla società costituita. Giulietta diventa così il motore del cambiamento. E lo spettacolo, nonostante la sua tragicità, si carica di una forte spinta a credere nella forza generatrice di un amore che nasce dalla passione ed evolve presto in sentimento.
La scena di Tiziano Fario è un ponte tra una piazza medievale e un Cinquecento ancora prigioniero e non liberato completamente nella sua forma, pieno di scale e labirinti: la casa dei Capuleti, segno di un forte potere temporale fa da contrappunto alla chiesa di Frate Lorenzo, coro e protagonista di quel terribile racconto che è la tragica storia di Romeo e Giulietta.
Il coro, recuperato dalla grande tradizione del teatro elisabettiano, si fa protagonista del racconto, evocatore di atmosfere e costruttore di paesaggi in uno spettacolo che parla direttamente al cuore del pubblico come solo una grande storia, raccontata dal più grande dei poeti, sa fare.
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