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«Ronaldo è un cucciolone Beckham come Colombo»

Arrigo Sacchi svela i retroscena dello spogliatoio Real: «Nel mio Milan l’inglese avrebbe sempre giocato. In panchina volevo Zaccheroni, ma i dirigenti mi sconsigliarono un italiano»

Franco Ordine

«Al ritorno da Istanbul avevo dentro una curiosità morbosa. Morivo dalla voglia di sapere che cosa avesse detto Rafa Benitez, l’allenatore del Liverpool, ai suoi, durante l’intervallo, sullo 0 a 3. Ho conosciuto Benitez qualche anno prima, era venuto anche a Milanello in visita-studio, così l’ho cercato e gli ho parlato...». Arrigo Sacchi non delude mai. Basta ritrovarlo sulla spiaggia di Milano Marittima, in una delle incursioni diventate rare dal giorno del nuovo incarico col Real Madrid, per scoprire l’Arrigo di sempre. Affabulatore collaudato e incantatore di serpenti, pozzo senza fondo di ricordi e di rievocazioni, sente una parolina sola, magica, un riferimento e parte per il suo viaggio, ricco di aneddoti e retroscena gustosi. L’ultimo Arrigo ha un gomito dolorante che gli impedisce di torturarsi in palestra, uno stiramentino dietro il ginocchio che rallenta il suo passo da bersagliere e un velo sul cuore: a Madrid, da solo, senza la Giovanna, sua moglie, che resta inchiodata alle sue radici, senza le figlie, entrambe trasferite a Milano, non è un gran divertimento.
Allora, Sacchi, che cosa le ha raccontato Benitez di quella notte a Istanbul, nell’intervallo di Milan-Liverpool?
«È stato secco. Ha detto: ragazzi, abbiamo fatto un capolavoro ad arrivare fin qui, alla finale di coppa Campioni, ma adesso non possiamo rovinare tutto e farci umiliare nel risultato. Quando entriamo stiamo attenti a non prendere il quarto gol e soprattutto cerchiamo di farne almeno uno».
Caro Arrigo, molti milanisti, ancora sotto choc, si chiedono se il Milan di Sacchi o quello di Capello avrebbe mai subito una rimonta del genere. Ha una risposta convincente sull’argomento?
«Me lo son chiesto anch’io, ma non ho la presunzione di rispondere no, con me non sarebbe accaduto. Mai dire mai nel calcio. Posso solo riflettere sul fatto che nell’allestimento delle mie squadre ho sempre messo al primo posto l’aspetto temperamentale dei calciatori da acquistare e poi quello tecnico. Il Milan di Ancelotti mi sembra invece messo insieme pesando il tasso tecnico, la classe di ciascuno dei suoi componenti».
Ancelotti è stato difeso da Galliani e rimesso in sella, anzi in panchina; da altre parti lo avrebbero brutalmente scaricato. Ce la farà a recuperare credito?
«Carlo è una persona deliziosa, non si porta dietro rancori o rimorsi, non si lascia torturare dai dubbi, è un positivo. E gli uomini così sono destinati a rialzarsi. Ho sempre sperato di poter lavorare con lui. Siamo andati vicinissimi ai tempi del Parma: Carlo stava firmando, arrivò il Milan che aveva licenziato Terim e ce lo soffiò sotto il naso. È destino, forse».
Ma è vero che lei ha tentato di portare Zaccheroni al Real Madrid?
«È vero che appena arrivato al Real non volevo cambiare allenatore, non avevo avuto il tempo per capire, valutare. Il presidente Perez è stato sintentico e convincente: mi ha detto, guardi che se non lo fa adesso, poi toccherà a lei andare in panchina. Allora facciamolo subito, gli ho risposto. Tra le soluzioni proposte c’era anche Zaccheroni: aveva il difetto di essere italiano, come me. In società mi spiegarono: se va male, se la prenderanno con te. Ho puntato su Luxemburgo, che conoscevo egualmente bene».
Intanto in Spagna lo scudetto è andato al Barcellona del suo allievo Rijkaard: che duello è stato?
«Hanno meritato, quelli del Barcellona, han giocato bene, hanno avuto qualche episodio fortunato, ma noi li abbiamo messi sotto pressione. Hanno dovuto tirar fuori le miglior energie per vincere alla fine».
Lo sa che al Milan circolava con insistenza il nome di Ronaldo qualche settimana fa? Lo volevate cedere?
«Ronaldo è ancora il numero uno. Se si allena con qualche impegno, vincendo la sua pigrizia, mette tutti in fila. Quelle voci sono circolate non per intervento del Real, ma registrando gli umori del clan di Ronie che a volte è risultato ferito da qualche fischio del pubblico. Ma è un tenero cucciolone, gli passerà. E alla prima magia il pubblico madridista gli scalderà il cuore».
Ronaldo sarà ancora un fenomeno come sostiene lei, ma nel frattempo il Real non ha vinto granché con lui...
«Verissimo. Il grande campione può farti vincere la singola partita, per vincere il campionato c’è bisogno della squadra. Provare per credere: confrontate le cifre di Ronaldo, con quelle di Vieri e Roberto Baggio, altri numeri uno. In carriera Vieri ha vinto uno scudetto con la Juventus senza essere titolare, lo stesso dicasi di Baggio nel Milan di Capello: appena uno scudetto vinto senza avere il posto fisso».
Come fa ad andare d’accordo con uno come Beckham?
«Prevenuti, siete prevenuti. Beckham è uno dei professionisti più in gamba che ho conosciuto a Madrid. Non ha i grandi colpi dell’artista e per questo non entra nel cuore del pubblico madridista. Ma con me, nel mio Milan avrebbe giocate sempre».
E dove?
«Al posto di Colombo».
A Istanbul ha rivisto Diego Armando Maradona: come sta? È recuperato?
«La vera sorpresa me l’ha fatta a tavola: Diego mangia pochissimo. È sveglio, reattivo, lucido, il vero Maradona dagli slanci generosi. Gli ho chiesto di firmarmi un pallone, non ho molti cimeli, ho deciso di farmene uno che rappresenti un po’ la storia del calcio. Ci sono altre due firme, al suo fianco: Pelè e Di Stefano».
Sacchi, dica la verità, come si trova al Real Madrid?
«Come uno che sta seduto alla scrivania del club calcistico più famoso al mondo. Pensi: tra qualche settimana partiremo per una tournée che va dalla Cina al Giappone con un ricavo di 25 milioni di euro. Perez, il presidente, è una specie di Re Mida. Ha acquistato a cifre bassissime il terreno per costruire il nuovo centro sportivo, adesso già vale una fortuna».
Ha visto l’Inter? È riuscita a vincere la coppa Italia...
«Speriamo l’aiuti a liberarsi della sindrome da Penelope: disfare di notte ciò che costruiva di giorno».
Come mai il Real non ha cercato Gilardino?
«L’ho spiegato anche all’interessato.

Il Real non ha il mecenate che ripiana i debiti del bilancio, deve autofinanziarsi, e per farlo ha bisogno di allestire una compagnia di grandi firme capaci di far vendere magliette e attirare sponsor».

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