Ronaldo relega Adriano a «portaborse»

Il ct Parreira: «In attacco siamo un peso massimo in difesa attenti a non essere un peso leggero»

Riccardo Signori

nostro inviato a Konigstein

Hanno scelto per capo delegazione un signore distinto, vago aplomb di un lord, ma dal nome che fa garanzia: Marco Polo. E questo dice dove voglia arrivare il Brasile: in capo al mondo. Al resto penseranno Ronaldo, Ronaldinho e compagnia. Anzi, meglio invertire la gerarchia. Ieri lo ha fatto capire pure Ronaldo che, tra un sorriso e un muso lungo, ha messo la corona in testa a quell’altro. Fors’anche con furbizia. «Con Ronaldinho ho giocato tante partite, fra me e lui non ci sarà problema. In campo cambia poco: io segno gol, lui vuole tutta la libertà del mondo per giocare e gliela danno. Ormai è maturato ed è una buona cosa per la Selecao. Lasciatelo tranquillo».
Mancava solo il rullio di tamburi in onore del giocatore che la Torcida ha eletto a simbolo di questa Selecao. Ieri era l’ultimo giorno di quiete per la nazionale accampata a Konigstein, un angolo di verde a un pugno di chilometri da Francoforte, casette che sembrano uscire dalle favole. Un angolo di Germania affittato al Brasile e alla sua gente: gran sventolare di bandiere verde-oro, ragazze in bikini che ti ballano intorno, un nugolo di giornalisti che sbucano da ogni angolo, polemiche che frizzano ad ogni sospiro. È il solito mondo Brasile, fatto di sogni e di contemplazione della propria grandezza calcistica. Mario Zagallo è il tutore di Carlos Alberto Parreira, ma soprattutto il battutista della compagnia. «Dobbiamo rendere possibile l’impossibile», raccontava ieri ai giornalisti. Discorso mirato alla maledizione europea che insegue il Brasile dal 1958, ultima ed unica vittoria in Europa. Gli strani avversari della Selecao sono questi, più ancora di quelli veri. Paure che ti prendono se la squadra delle riserve batte 3-0 quella del titolari, proprio alla vigilia dell’esordio di domani a Berlino contro la Croazia. Possibile? È Ronaldo a spiegare: «Possibile, perché il Brasile porta 23 giocatori, due squadre che potrebbero vincere entrambe il mondiale». E Carlos Parreira a ricordare: «Nel ’94 le riserve vinsero 6-0 in allenamento, ma nella partita vera i titolari fecero un vero show. E nel ’94 avevamo una tonnellata di pressione sulle spalle, perché non vincevamo da 24 anni».
Tutto fa tensione e pressione. Anche se Ronaldinho ha già promesso di aver studiato un samba per la finale e Ronaldo ha promesso un cambio di look. Come vedete il Brasile parla di tutto, per gli avvesari c’è tempo. Ronaldo, per esempio, ha preferito ricordare le gerarchie in attacco. «Con Adriano siamo d’accordo: sarà lui a tornare indietro». E Ronie, capocannoniere del torneo 2002, almeno in questo non vuole abdicare. Ad Adriano basti fare il portaborracce. «In fondo saremmo tutti contenti se ripetessimo gli stessi risultati del 2002. Mi sento bene come allora». Parreira ha spiegato il problema in termini pugilistici: «Dovremo attaccare come un peso massimo, ma non potremo difendere come un peso leggero».
Anche questo è il samba do Brasil. Ognuno dice la sua, come sul campo. L’importante è far gol e magari tenere buone relazioni con i santi. Quelli veri. Zagallo è un devoto di San Antonio. E il giorno del santo nostro, in Brasile è grande festa. Stavolta di più, perché San Antonio si festeggia proprio domani. Che fare? Zagallo, ormai al settimo mondiale, vinse in Svezia con Pelé, ha guidato e vinto con la Selecao anche dalla panca, ed ha un fisico prosciugato dagli anni, non vuol scomodare il santo. «Mi sono rivolto a lui 13 volte», ha raccontato. «Ma ora lasciatelo al suo posto». Insomma questo Brasile è sufficientemente forte per fare da solo. Ronaldinho non è un santo, ma potrebbe diventarlo. Ronaldo è stato già santificato.

E tutti hanno una ragione per vincere: da Kakà, il leader del futuro, a Cafu indomito vecchietto (36 anni) al quarto mondiale. Forse l’ultimo? Illusi. «Il mondiale è la cosa più bella del mondo», ha raccontato. «È il desiderio di ogni ragazzo. Spero non sia l’ultimo». Sorrideva, ma non troppo.

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