La Rosa nel pugno già ai ferri corti con i Ds

Capezzone: «Un attacco gratuito e autolesionista definirci “cartello elettorale”. Si confrontino con noi». Bonino: sono amareggiata, ci insultano

da Roma

Soli contro tutti, come da iconografia classica. Non è ancora cominciata la legislatura, e La Rosa nel pugno si trova già impegnata su due fronti: uno interno, legato ai rapporti di forza e al nascente Partito democratico; uno esterno, nei confronti del Viminale e di una legge elettorale che ha escluso al Senato qualsiasi rappresentanza ai radicalsocialisti, pure forti del 2,49 per cento (quasi 852mila voti).
Le battute di Massimo D’Alema, lasciate cadere alla sua maniera, con velenosissima noncuranza («La Rosa nel pugno? Un cartello elettorale»), sono rispedite al mittente. «Un attacco gratuito e autolesionista», attacca Daniele Capezzone, che invita il presidente ds a «mettere da parte furbizie e tatticismi e a farsi due conti» sull’apporto determinante di Rnp per la vittoria. «D’Alema fa confusione - reagisce la leader Emma Bonino -, confonde i suoi desideri con la realtà... Trovo il suo tono duro verso gli amici socialisti, insultante. Mi amareggia che D’Alema non abbia capito dopo tanto tempo che noi diciamo quello che pensiamo e facciamo quello che diciamo. Basta aspettare un po’... Noi andremo più spediti e determinati del Partito democratico».
Altro che «cartello elettorale». Roberto Villetti, con la consueta dose di pazienza, spiega come D’Alema, «solo per sollevare una polemica, di cui non si sente alcun bisogno, ha detto che il Partito democratico è aperto alla sola area socialista. Sfugge all’ex presidente del Consiglio che la Rosa nel pugno non solo è stata decisiva per la vittoria, ma resta un soggetto politico nuovo con il quale confrontarsi». Se lo schema del Partito democratico fosse quello socialdemocratico, chiarisce, avrebbe avuto un senso, ma dato che quello schema non c’è, «appare evidente l’intenzione di introdurre divisioni tra socialisti e radicali, declassando strumentalmente la Rosa da progetto strategico a cartello elettorale. Invece D’Alema dovrebbe affrontare sulla strada del partito democratico un problema che si chiama laicità... Questo tentativo di aggirarlo è l’approccio peggiore». Anche Capezzone lamenta tattiche dilatorie e si chiede «quanto tempo dovrà passare prima che si apra una discussione vera e seria». Il leader socialista Enrico Boselli preferisce non entrare nella polemica, limitandosi a punzecchiare le profferte di dialogo dalemiane: «Massimo agita una pistola ad acqua, perché il dialogo sul Quirinale si deve aprire comunque, a prescindere dall’atteggiamento di Berlusconi. L’importante è essere trasparenti». Anche la Bonino reclama «limpidezza», affinché il dialogo non sia «oligarchico: è un tema che non riguarda solo i dirigenti dei partiti, ma il Paese».
Ciò che però anima davvero queste ore della Rosa nel pugno è il ricorso presentato presso tutte le Corti d’Appello per ottenere i seggi (3 o 4) spettanti al Senato. Il motivo è spiegato da Angelo Piazza: «La legge elettorale è chiarissima, non richiede alcuna interpretazione complessa. Non applicarla sarebbe un abuso gravissimo». I radicalsocialisti osservano che all’articolo 17 della legge per l’elezione del Senato, comma uno, non cita affatto la soglia di sbarramento del 3% quando scandisce i passaggi per l’attribuzione dei seggi senatoriali su base regionale.

Lo sbarramento entra in ballo poco dopo, al terzo comma, dopo che il secondo passaggio ha previsto la verifica dell’esistenza di una coalizione che abbia ottenuto almeno il 55%. Non essendoci stata nessuna coalizione sopra tale soglia, conclude la Rnp, alla ripartizione dei seggi concorrono in quota proporzionale tutti i partiti, nessuno escluso.

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