«A Rossi manca uno come me»

Avercene come lui. Con Max si può ridere e scherzare e litigare senza mai il timore di ritrovarsi a far discorsi stupidi. Questione di neuroni e del suo essere pilota e filosofo al tempo stesso. Mai e poi mai Biaggi rinuncerebbe alla profondità delle proprie osservazioni: il ragazzo era così a vent’anni, a maggior ragione l’uomo è così a 38, fresco padre di Ines Angelica e da sette anni compagno di Eleonora (Pedron, ex miss Italia). Una famiglia a trecento all’ora che ha rinunciato alla ribalta «e alla baby sitter per poter far tutto noi», rimarca lui con orgoglio, mentre prepara la gara di domenica, a Valencia, mondiale Superbike. Un gran premio cruciale a cui ci arriva da vice leader della classifica e dopo una poppata alla piccola e dopo il doppio trionfo portoghese in sella all’Aprilia. Già, l’Aprilia del corsaro nero, storia lontana che racconta di tre mondiali di fila, anni Novanta, «però non mi dispiace se mi chiamate ancora così, perché la grinta di quel personaggio fa ancora parte di me», aggiunge il filosofo dell’impennata. Un filosofo che ha elaborato le proprie teorie anche sul motomondiale alle porte domenica e su chi saranno i rivali di re Valentino Rossi, lui che del Fenomeno di Tavullia resta ancor oggi l’unico avversario a denominazione di origine controllata.
Nel motomondiale sembra che dopo di lei non si riesca proprio a trovare un rivale degno per il suo «amico» Valentino. Voi eravate un po’ come Coppi e Bartali.
«Sorrido adesso e ho sorriso negli anni passati, quando vedevo mettere in scena la farsa della rivalità tra Rossi e Gibernau. Era stata inventata di sana pianta, prima amici e poi avversari, non stava in piedi, era artificiale».
Perché, come dev’essere una vera rivalità?
«Ha regole che vanno rispettate, sono come ingredienti che ci devono essere».
Ci dia la ricetta.
«Il primo: i due devono avere la stessa nazionalità; il secondo: devono essere persone che come modo di vivere sono agli antipodi; il terzo: nel pensare devono essere diversamente uguali, cercare cioè lo stesso obiettivo pensando in modi diversi».
Lei e Valentino eravate così, e ora?
«In MotoGp manca un vero avversario italiano di Rossi, uno realmente completo, titolato, concreto. Guardando oltre confine, vedo soprattutto Casey Stoner. Anche se guida una Ducati. Dico così perché bisogna essere pungenti visto che si tratta della mia rivale in Sbk. Sì, Stoner è in gamba, ha gli attributi giusti, ci mette sempre del suo. Lui più di tutti potrà impensierire Rossi. E poi vedo Lorenzo: l’ha messo in difficoltà diverse volte, l’ha battuto. Deve solo non farsi male come in passato».
La doppietta in Portogallo, oltre che la prima vittoria dell’Aprilia Sbk, è stata la sua prima da papà. Effetto strano?
«Quando sei in pista c’è poco spazio per i sentimenti. È il prima e il dopo che cambia: è in quei momenti di tranquillità e di solitudine che rifletti e pensi al fantastico viaggio che hai intrapreso. Quello di padre».
Enzo Ferrari diceva che un pilota-padre va più lento.
«Non me la sento di smentire un grande come Enzo Ferrari. Lo dico per il rispetto che gli porto, per quanto di immenso ha costruito. Penso però che il suo ragionamento fosse giusto 40-50 anni fa, con quel tipo di corse (e i molti rischi dell’epoca, ndr). Ora no».
Vita cambiata?
«Sì, in qualcosa di idilliaco. Io vivevo velocemente anche fuori pista, alle 8 e mezza fuori ogni mattina. Invece adesso alle 10 sono ancora dentro, aiuto Eleonora, poi le poppate, poi faccio il jolly di famiglia e appena c’è bisogno eccomi qui ed eccomi là. Mi sento così responsabile».
E vincere di nuovo con Aprilia dopo i mondiali a raffica degli anni Novanta?
«È qualcosa di semplicemente romantico».
In che senso?
«Mi sembra un film. A volte chiudo gli occhi come sognassi, li riapro e lì, nel mio box, trovo attorno persone che conosco da una vita, gente che non solo mi stima ma che mi vuole bene».
Sono le stesse con cui correva in 250 tanti anni fa?
«Sì, e nel 2009, quando scelsi l’Aprilia, fu l’unica vera condizione che posi: voglio loro. Senza non avrei firmato».
Ha mai pensato che se si fosse portato dietro i suoi uomini di fiducia anche in Honda e Yamaha (come ha fatto Rossi anni dopo, ndr) avrebbe ottenuto di più nella classe regina?
«Sì, ci ho pensato. Fui ingenuo. Ma come fai a non fidarti quando approdi in una grande Casa? Pensi che i tecnici che ti mettono a disposizione siano i migliori. Con l’esperienza comprendi invece che i tecnici ideali non devono solo avere grandi capacità ma saper soprattutto cogliere e capire l’attimo, sono rari».
Biaggi campione del mondo Superbike. Primo italiano. Lecito pensarlo viste le ultime vittorie?
«Rispondo alla Senna: nella vita dobbiamo tutti sognare, perché quando si smette è un po’ come morire, come spegnersi. E questo è il mio sogno. Però non me la sento di dire che ce la farò».
Perché no?
«Perché corro su una moto che ha un anno e tre mesi di vita, non vent’anni come la Ducati.

Abbiamo tanto lavoro da fare però di una cosa sono certo: non smetterò mai di ringraziare proprio la Ducati che nel 2009 non mi ha voluto come pilota ufficiale. Senza quel no, ora non sarei in Aprilia e non vivrei questa magia».

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