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Rossi: «Quello che dice a me non interessa»

Borrelli: «Il Cavaliere è prevenuto: se accendo una sigaretta dice che lo faccio contro Forza Italia»

Franco Ordine

Silvio Berlusconi a testa bassa. Contro il processo lampo allestito da Rossi e Borrelli a Roma e contro le pene ingiuste da infliggere a tifosi e società nel frettoloso inseguimento di una giustizia sommaria. Non è vagamente assolutorio o perdonista, come quel Mastella improvvisamente tenero con Del Piero e compagnia appena il suo amico Della Valle è finito dentro il calderone dell’inchiesta. Anzi, sulla materia, Berlusconi resta fermo sui giudizi severi espressi fin dalle prime pubblicazioni delle intercettazioni telefoniche. «Ciò che è accaduto è grave, molto grave ma è una responsabilità che è in testa a chi ha commesso illeciti» il suo chiarimento di fondo. E sullo sfondo restano le figure chiave e simboliche dell’inchiesta rappresentate da Moggi e Giraudo, da Bergamo e Pairetto, dal plotone di arbitri e assistenti al loro seguito.
Non è la prima incursione del presidente del Milan sul terreno, minato, di regolamenti strampalati o stravaganti, fuori dai tempi e in contrasto con le esigenze economiche. Ai tempi, primavera del ’90 per esempio, con lo scudetto sottratto al Milan grazie alla monetina di Bergamo caduta sulla testa di Alemao, dal Napoli di Moggi - toh, chi si rivede! -, realizzò una crociata per abolire lo 0 a 2 a tavolino. Riforma promulgata poi da Antonio Matarrese, presidente della federcalcio. Gliene dissero di tutti i colori. I fatti parlarono per la trovata: nel calcio italiano non c’è più stato un lancio, mai più un calciatore è rimasto a terra a fare scena. Nel suo ultimo, argomentato, intervento sullo scandalo del calcio, Silvio Berlusconi si spoglia dei panni di presidente del Milan, «che nella circostanza è vittima del sistema» il chiarimento che vale come premessa assoluta, arricchita dalla richiesta di fondo, «se vengono tolti gli scudetti alla Juve devono essere assegnati alla seconda classificata» il chiodo fisso. Berlusconi indossa i panni dei tifosi di Fiorentina e Lazio, «che mi scrivono sull’argomento» puntualizza. «Noi tutti non accetteremmo sanzioni ai tifosi, alle squadre, quando da punire sono i singoli che hanno sbagliato» è il suo distinguo, un attacco frontale al principio della responsabilità oggettiva introdotta nel calcio e solo nel calcio consentita.
Dietro la dichiarazione di principio, non una vaga idea di amnistia, «inapplicabile», ma un comune sentimento popolare di separare «gli autori degli illeciti sportivi», individuati nei due dirigenti juventini e nella centrale degli arbitri messa in piedi da Bergamo e Pairetto. «Non si può realizzare una grave ingiustizia per produrre giustizia che tra l’altro non può essere assunta con un processo sommario» è il punto su cui Berlusconi continua a battere a poche ore dalla lettura delle prime sentenze. Ecco il punto, allora. «Ora bisogna risentire tutte le telefonate, ascoltare i testi, le accuse e le difese, verificare se ci sono fatti concreti» è l’idea di Berlusconi che si coniuga anche con la fretta di Rossi, preparare le classifiche e la lista delle squadre da mandare nelle coppe. «In attesa di chiarimenti definitivi, potremmo far partire il prossimo campionato così com’è e attendere l’esito dei processi autentici» la moratoria proposta.
Silvio Berlusconi parla e dal fronte della politica si scatena il fuoco di sbarramento. A prescindere, come direbbe Totò. «Chi ha sbagliato paghi» tuona Diliberto, segretario del Pdci come se Berlusconi avesse invocato l’amnistia. «Si rispettino le delibere dei giudici sportivi» conclude. E sulla scia di Diliberto l’iconfondibile Paolo Cento, dei Verdi. «Sono affermazioni molto gravi» e neanche una parola sul merito. «Grazie a Dio le sentenze sono imminenti e il campionato comincia dopo la fine del processo» dichiara Antonio Di Pietro, noto maestro di diritto sommario. «Mettere sotto accusa la velocità dei processi in prossimità dell’inizio dei campionati è pretestuoso» l’opinione di Andrea Martella, capogruppo Ulivo alla commissione cultura della Camera. Persino Maurizio Gasparri, ex ministro del governo Berlusconi, confessa di non condividere la posizione del leader della Cdl pur partendo dalle stesse posizioni, «non ho alcuna fiducia in persone come Rossi e Borrelli». In disaccordo sulla proposta ma senza pregiudizio. «Lo capisco, parla così da tifoso, da presidente di una squadra» conclude Gasparri. E la palla torna a Ruperto.

Oggi, a Roma.

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