Con il rossonero rotti anche Drogba e Ferdinand

Passi per il paraguagio Cabanas. Era rimasto coinvolto, e ferito, in una sparatoria messicana e dunque per lui il mondiale era finito tra un proiettile schivato e l’altro beccato. Non capisco Didier Drogba che si spacca un gomito e fa tremare la Costa d’Avorio, anzi sembra proprio a meno di un miracolo dei chirurghi sudafricani, che il puma del Chelsea starà con il braccio ingessato a guardare i suoi. Capisco invece Ancelotti che, anche se a Miami per vacanza, dovrebbe accendere i ceri a qualche madonna perché dopo Ballack ed Essien pure Drogba è fuori dal circo, tedeschi, ghanesi e ivoriani colpiti dalla stessa macumba, gli stregoni che stazionano davanti agli alberghi in Sudafrica stanno facendo il loro sporco lavoro. Non è mica finita qui: venerdì 4 giugno, un po’ come l’11 settembre, chiedo scusa per l’irriverente paragone ma ogni tanto il calcio trascina all’eccesso. Salta in aria il muscolo di Rio Ferdinand capitano dell’Inghilterra. Fuori anche lui, aveva ricevuto la fascia dal mandrillo Terry, adesso Capello ha richiamato Dawson ma non è la stessa cosa, toccherà a King affiancarsi al Terry di cui sopra mentre Rio Ferdinand maledice i legamenti del ginocchio sinistro che si sono lacerati e gli hanno tolto il sogno, l’ultimo mondiale della sua carriera. Per la cronaca si è fatto male anche un altro Michele, dopo Ballack e Essien, trattasi di Bastos, laterale del Brasile, pure lui al ginocchio sinistro, lesione, trauma, paura, Dunga che di gambe malconce (le sue) è un grande esperto, sa che su quella fascia non gli resta che Gilberto, uno che non ha lasciato traccia a Milano, speriamo anche in Sudafrica. Poi c’è il caso di Pirlo, che si aggiunge a quello di Camoranesi, piedi buoni e muscoli fragili, il logorio del football moderno non può essere risolto con l’aperitivo al carciofo, anzi c’è poco da scherzare, se manca il fosforo del milanista e qualche tocco geniale dell’italo argentino questa nostra nazionale diventa una squadra di minatori alla ricerca della pietra verde ma senza Harrison Ford.
Le notizie dai vari ambulatori confermano che questo calcio logora chi ce l’ha, troppe partite, troppi muscoli allertati, troppa «intensità» come dicono gli addetti, dunque alla fine si deve pagare il conto, anche perché oggi, a differenza di qualche medicina fa, non si può più, e per fortuna ricorrere a farmaci antiinfiammatori che riducono i tempi di recupero e restituiscono agli allenatori atleti vivi e vegeti, almeno per novanta minuti.

Oggi si debbono rispettare i tempi di guarigione, il miracolo di Baresi al mondiale americano resta un caso unico, come quello romantico o epico di Franz Beckenbauer che giocò con il braccio fasciato alla spalla in Messico ’70 contro l’Italia, nella partita del secolo. Altra razza, altro calcio.

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