Caro Direttore,
vorrei complimentarmi con lei e la redazione per lottima impostazione grafica che avete dato al nostro giornale. Ne ho discusso, questa mattina, davanti dalla scuola elementare che frequentano i miei figli (per fortuna, davanti agli edifici scolastici si può parlare anche di argomenti diversi dalla riforma Gelmini che tanto accalora la sinistra) con un amico che ritenevo abituale lettore del quotidiano. Ebbene, con un pizzico di vergogna (chissà mai perché), questo ragazzo mi ha confessato che, causa mutuo, ha dovuto tagliare un po di spese «superflue» tra cui quella dellacquisto quotidiano del Giornale. Scelta comprensibile, certo, se non fosse che lo stesso amico non rinuncia, alla mattina, alla tazzina di caffè presa al bar. Ed è su questo che ho meditato venendo al lavoro e che mi ha spinto a scriverle. Litaliano tende, sempre più spesso, a sacrificare la cultura. Sappiamo che, rispetto ad altre nazioni europee, siamo tra i lettori meno assidui della stampa. Non solo: quanti libri comprano (e leggono) gli italiani? Quanti film vanno vedere al cinema senza scaricarli dalla rete? Vogliamo poi stendere un velo pietoso su teatri e musei? E non si dica che è la logica conseguenza della crisi perché i ristoranti continuano a essere sempre pieni e nei weekend le macchine che si spostano non sono certo calate. Che fare, allora, per invertire la tendenza? Mi son detto che se non possiamo modificare, in questa situazione, la testa agli italiani potremmo magari invogliarli al cambiamento. In che modo? Introducendo una legge che permetta di detrarre fiscalmente gli acquisti di giornali e libri, e le entrate ai cinema, ai teatri e ai musei (chi più ne ha più ne metta). Daccordo le rottamazioni di auto, ma perché non provare, come Governo, ad «investire» sulla cultura? La prenda, caro Direttore, come una provocazione. O forse no?
Caro lettore, lei mi sta dicendo che non ci sono solo auto e elettrodomestici. La vita è fatta anche di altre cose. Ci sono i libri, cè il cinema, ci sono i giornali, cè quello che in genere si chiama cultura. Chi compra libri paga meno tasse è uno slogan accattivante. Noi, ci raccontano da sempre le statistiche, non siamo un popolo di lettori. Qualcuno dice che è colpa del sole. In Scandinavia, sostengono i maligni, stai in casa e leggi. Non credo sia solo questo. Il nostro è un vizio antico e forse ha anche un po a che fare con la scuola. Magari grazie ai tagli fiscali gli italiani si scoprono lettori. Non lo so. Si può provare. Penso, comunque, che per frenare la crisi non bastano gli aiuti alla grande impresa. Ci sono anche le piccole imprese e gli artigiani. Lo abbiamo scritto spesso. Sono loro la roccaforte su cui il Paese si appoggia quando tira aria di tempesta. Il governo ci sta pensando. Si parla di una revisione del meccanismo del credito dimposta o di una «Tremonti ter», con unaliquota agevolata sugli utili reinvestiti. È uno strumento che ha già funzionato. È importante coinvolgere anche le banche.
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