Igor Principe
Taglio dei fondi pubblici. Scarso intervento dei privati. Finanziamenti varati a stagione ampiamente avviata. Così i teatri contraggono prestiti con le banche e pagano interessi che quei finanziamenti quasi mai riescono a coprire. Crisi aperta, si dice: ma a Milano è davvero così? Lo abbiamo chiesto a quattro teatri storici della città: Piccolo, Elfo, Pier Lombardo e Filodrammatici. Cominciamo da questultimo
«Milano? Unisola felice. Basta che ce la lascino». Emilio Russo dirige il più antico teatro di prosa della città: il Filodrammatici. Da sei anni il teatro gode dello status di Stabile dinnovazione, formale ratifica del ruolo di istituzione per un luogo assediato - dal punto di vista geografico - da due indiscusse bandiere della milanesità: la Scala e Mediobanca, le cui finestre quasi si toccano con mano dagli uffici del Filodrammatici.
In questi, Russo sta lavorando alla prossima stagione, e tra i vari pensieri si affaccia quello per le convenzioni, felice strumento di dialogo tra il Comune e i teatri cittadini, fortemente voluto e difeso dallex assessore alla Cultura Carrubba, ora nelle mani del suo successore, Stefano Zecchi. «Pare che invece del rinnovo triennale se ne farà uno annuale - dice Russo -. Forse è giusto così, vista la posizione di Zecchi: in primavera ci sono le elezioni e lassessore dispone per il tempo in cui sarà operativo. Ma noi dobbiamo fare di tutto per tenere questo tipo di rapporto con il Comune. Se venisse meno, sarebbe un bel problema. E ne abbiamo già abbastanza».
Elencarli è fatica inutile. Basta riassumerli sotto ununica etichetta: problemi culturali. In primis, il rapporto con i partner privati. «Mi vien da dire che i privati siamo noi, nel senso di privati di risorse - scherza Russo -. Gli interventi non mancano, ma non riesco ancora a capire certe disparità di trattamento: ho il sospetto che a guidarli sia lamicizia tra le persone e non la cognizione di causa sul valore delle proposte culturali. Così, le regole del gioco ti sfuggono. E non è bello, in un mondo che regole non ne ha».
Come, non ne ha? Sono state citate le convenzioni, cè un Fondo Unico dello Spettacolo (Fus) nel cui seno una commissione decide ogni anno gli stanziamenti alle istituzioni culturali. «Non nascondiamoci dietro a un dito! Il Fus è uno strumento inadeguato. Medievale, direi: un ministro decide del 30, 35 per cento delle mie risorse, e per di più in ritardo di un anno sullinizio della stagione. Sono regole, queste? Mi pare di no».
La proposta, forte, arriva un attimo dopo. «Aboliamolo: ne siamo ostaggi. E visto che sono cinquantanni che laspettiamo, variamo una legge nazionale seria in cui si dica, come è scritto nelle circolari ministeriali, che il teatro ha un ruolo sociale essenziale. E in cui siano trasparenti i criteri di assegnazione delle risorse».
Rimane il pubblico. «Siamo reduci da unottima stagione, oltre 40mila spettatori.
Russo: «Le nostre scelte premiate dagli spettatori»
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