Il despota è scappato all’estero, il potere è passato nelle mani di uomini che si sforzano di fare concessioni all’opposizione e di placare la rabbia popolare. Ma non basta. Quella di ieri è stata un’altra giornata di caos di Tunisia, una giornata che segna un inquietante scivolamento verso l’anarchia. Fughe di massa dalle carceri, saccheggi e vandalismi attuati da bande di giovani che nessuno sembra in grado di fermare: e sullo sfondo la preoccupante sensazione che tutto questo sia in qualche modo consentito, che sia il prodotto, gettato cinicamente sulle spalle della gente comune, di lotte di potere che sono lontane dall’esser concluse.
I tunisini qualunque - ma anche gli stranieri che in Tunisia vivono - hanno paura, e quando scende la sera si barricano in casa per difendere i propri averi e la propria vita, in attesa che la nottata (in tutti i sensi) passi. Anche le necessità più elementari della vita quotidiana, come fare la spesa o trovare la benzina per l’auto, stanno diventando un serio problema: dopo i saccheggi sistematici dei supermercati anche le botteghe abbassano le saracinesche nel timore di assalti, e le stazioni di servizio, depredate del carburante, non servono più niente e nessuno. Il governo, o il suo attuale simulacro, ha informato per televisione che le cisterne di banzina saranno scortate dall’esercito, così come quelle, forse ancor più indispensabili, dell’acqua.
A far davvero paura sono le evasioni di massa: migliaia di detenuti scappati dalle carceri in tutto il Paese, perfino nel centro di Tunisi, gente che ora si aggira fuori controllo a minacciare la sicurezza dei cittadini. Fughe che hanno talora assunto i caratteri del film dell’orrore, come a Monastir, in piena zona turistica sul Mediterraneo: qui sono stati sfondati i muri di recinzione usando dei trattori ed è stato appiccato il fuoco ai materassi di un dormitorio, provocando la morte di sessanta carcerati. Decine di loro sono finiti coperti di ustioni al locale ospedale, che è stato anche difeso da un tentativo di assalto da una muraglia umana di circa duemila abitanti del posto.
L’arresto, avvenuto ieri, di Alì Seriati, consigliere per la sicurezza del deposto presidente Ben Alì, getta una luce preoccupante sulle origini di questo caos: con altri uomini della vecchia guardia del presidente avrebbe pagato bande di giovani perché compissero violenze e saccheggi. Fedeli del vecchio regime sarebbero dietro anche alle evasioni dalle carceri, con lo scopo di alimentare il disordine e magari porre le consizioni per favorire il rientro del leader fuggito. Non più, dunque, un contrasto tra sostenitori e oppositori del vecchio regime, ma una frattura tra queste due fazioni all’interno delle stesse forze di sicurezza: esercito, polizia e guardia presidenziale.
La rabbia del popolo contro i familiari di Ben Alì non ha ancora finito di essere sfogata.
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