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È il sacro a regolare la società. La politica viene (molto) dopo

Un'occasione sciupata. L'autore dimostra competenza ma si perde nell'attualità e nella lotta tra destra e sinistra

È il sacro a regolare la società. La politica viene (molto) dopo
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Ha ancora senso parlare di Tradizione in un'epoca travolta dal luccichio debordante del web e dell'intelligenza artificiale?

Mark Sedgwick, studioso del sufismo, formatosi all'Università di Oxford e professore di Studi arabi e islamici all'Università di Aarhus in Danimarca, affronta il tema nel suo ultimo libro, Tradizionalismo. Verso un nuovo ordine mondiale (Edizioni Atlantide, pagg. 360, euro 22), mettendo in luce la persistenza e le implicazioni attuali del fenomeno, attraverso un'esposizione che risulta sia didascalica che cronologica.

Parte da una tesi che potrebbe sembrare provocatoria: una delle "filosofie minori" contemporanee così la definisce! pur avendo un progetto radicale volto a restaurare l'ordine sacro, che si manifesterebbe attraverso una natura fluida e multiforme, il rispetto per l'ambiente, la creazione di grandi opere musicali e la riduzione delle ostilità tra le religioni, avrebbe negli ultimi decenni finalmente trovato una parvenza di applicazione in contesti sociali concreti. Si sarebbe cioè innervata nella Storia.

Con tale premessa, lo studioso abbraccia un assioma consolidato, secondo cui, non essendoci una visione monolitica da seguire, la Tradizione avrebbe la capacità di generare un insieme di pratiche che, di volta in volta, ne rivelerebbero l'efficacia nell'interpretare la realtà e financo di accompagnarla. Lungo questo crinale, Sedgwick commette tuttavia il suo primo errore nel momento in cui interpreta in modo quasi dirimente l'influenza di autori come Evola e Guénon sulla realtà di certi ambiti politici.

Si spinge, infatti, a fare accostamenti poco plausibili, sostenendo che il peso di Evola, soprattutto in Italia, sia stato così determinante da aver plasmato figure di primo piano come Giorgia Meloni o Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia. Ma fa anche riferimento al ministro della Cultura, Alessandro Giuli, citando la sua ammirazione giovanile per il barone desumibile da alcuni scritti. Secondo Sedgwick, rappresenterebbero esempi tangibili di un possibile risveglio del Tradizionalismo in contesti palesemente rilevanti.

C'è però qualcosa che non torna nel suo discorso. Creare una diretta dipendenza tra interessi culturali, spesso giovanili, e scelte politiche, appare una connessione debole e poco fondata, anche perché il Tradizionalismo penetra la realtà per attraversarla e mai per sedimentarsi. Una debolezza analitica che viene peraltro implicitamente ammessa dallo stesso autore quando riconosce l'approccio anglofono del libro, pensato inizialmente per un pubblico diverso da quello italiano.

Rimane tuttavia il fatto che l'autore ripete queste correlazioni anche per altri contesti, estendendo infatti il suo interesse a figure come Steve Bannon e Martin Sellner, leader del Movimento Identitario austriaco.

In realtà, Sedgwick conosce bene la materia, ma talvolta sembra voler deragliare apposta. In un primo tempo, per esempio, ribadisce che il Tradizionalismo è un sistema di insegnamenti spirituali volto a ristabilire un ordine cosmico e sacro, che non si manifesta né si realizza nei modelli politici o nelle ideologie contemporanee, poiché agisce innanzitutto attraverso una catena iniziatica che rimane spesso invisibile. In un secondo tempo, tenta di associarlo a movimenti populisti e identitari, che sono invece intrinsecamente legati alla ricerca di consenso di massa e a cause fin troppo contingenti. Cosicché, alimentando questo circolo vizioso, finisce per confondere la Tradizione che è, appunto, un cammino iniziatico con la mera politica contingente, col rischio di cadere in vari malintesi come quello di ritenere Dugin, il cui pensiero filosofico è ben strutturato, un banale suggeritore di Putin.

Il Tradizionalismo è stato innanzitutto un fenomeno elitario, che si pone da sempre in radicale antitesi al disordine moderno. Se da un lato, però, sollecita una dimensione metafisica, dall'altro cerca di penetrare il fluire della storia per oltrepassarlo, con il rischio di incontrare figure che tentano nel frattempo di richiamarne qualche cascame.

Tuttavia, non si può analizzare il fenomeno come ha fatto Gnoli su Repubblica, partendo dalla fine, cioè da eventuali epigoni e dalle loro dichiarazioni d'intenti. Così come non si può definire "autore marginale e scarsamente letto" Mircea Eliade, come ha fatto sempre Gnoli, ridimensionandolo a una sorta di parvenu della cultura per giustificare un accostamento tra il movimento Maga e ogni sua possibile declinazione populistica e il pensiero della Tradizione. Quest'ultimo, infatti, ha talvolta trovato espressione nelle avanguardie spirituali che si sono confrontate con le sfide del loro tempo, ma mai sperimentando la logica del compromesso.

Il Tradizionalismo non guarda a un passato aurorale con sterile nostalgia. Non è insomma folklore o vago citazionismo, ma radice che nel tentativo di alimentare il cammino verso il futuro riconnette l'individuo alla sua origine.

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