SAGAN La play boy dal caschetto biondo

«Un affascinante mostro di diciott’anni» l’autore, «un libro crudele» il risultato, Bonjour tristesse il nome che lo incarna. Alla metà degli anni ’50, la leggenda di Françoise Sagan nasce così, con la benedizione letteraria di François Mauriac, il più fariseo degli scrittori cattolici, o il più cattolico degli scrittori farisei, la grazia di un titolo preso in prestito da una poesia di Paul Éluard, il fisico androgino di una minorenne che si vede consegnare in contanti i 100mila franchi del Premio dei critici perché non ha l’età per incassare un assegno... È di buona famiglia, Françoise, all’anagrafe fa Quoirez, abita con i genitori in Boulevard Malesherbes, uno stabile borghese di un quartiere borghese. Una sera a cena dai suoi, un amico di famiglia dice, a proposito del libro-scandalo di questa giovane e sconosciuta scrittrice che racconta di una ragazza amorale e di un padre vanesio: «Se l’autrice fosse mia figlia, non ne sarei particolarmente lieto». «Oh, non c’è alcun pericolo» replica ironico il padre di Françoise.
Lo pseudonimo Sagan è squisitamente classico: Boson de Talleyrand-Périgord, principe di Sagan, è il personaggio storico su cui Marcel Proust ha modellato il duca di Guermantes e il barone di Charlus della sua Recherche. E classico è anche il lancio scelto dall’editore Juillard: Le diable au coeur dice la bandella sotto il titolo, richiamo, trent’anni dopo, a quel Le diable au corps che aveva salutato il successo sulfureo di un altro minorenne di talento, Raymond Radiguet... Nel 1958 il libro diventa un film, anch’esso di successo: Jean Seberg è Cécile, l’adolescente che trama perché il padre, Raymond-David Niven, si riprenda Else-Mylène Demongeot, l’amante giovane, bella e stupida, e non sposi la perfetta e dominatrice Anne-Deborah Kerr. Quanto al giovane Cyril, burattino innamorato della perfida ragazzina, il ruolo va a Walter Chiari. Ennio Flaiano non sa resistere. Bonjour stronsesse! è il suo commento.
Françoise Sagan è morta nel settembre del 2004, a 69 anni, una ventina di romanzi all’attivo, una vendita media sulle 200mila copie dopo aver toccato le 800mila nella stagione dorata degli anni ’50, una salute sempre più malandata che fra alcol, droga e osteoporosi l’aveva trasformata in uno scheletro in stampelle, disavventure finanziarie e guai con il fisco che l’avevano lasciata praticamente sul lastrico, il doloroso crepuscolo di una primavera tanto ricca quanto dissipata. La Francia oggi la celebra con un film sulla sua vita interpretato da Silvye Testud, una biografia simpatetica di Marie-Dominique Lelièvre, À toute allure (Denoël, pagg. 348, euro 20), la riedizione di nove dei suoi romanzi (da Un certain sourire a Aimez-vous Brahms?, passando per La chamade, La laisse, Dans un mois, dans un an), la pubblicazione, nei Cahiers de l’Herne, dei suoi articoli su cinema, moda, romanzi, città.
Quando l’astro di Françoise cominciò a brillare, Jean Cocteau annotò nel suo Diario: «La giovinezza possiede oggi un’impudenza che assomiglia al genio, o che almeno permette alle punte dell’intelligenza di erigersi in tutte le direzioni e senza scrupoli. Molto genio. Troppo genio. Una mitragliatrice di genio. Ci vorrebbe per questi giovani scrittori anche un po’ di talento». Fra lo sbalordito e l’infastidito, l’autore dei Ragazzi terribili faticava ad accettare che potesse accadere ad altri ciò che negli anni «folli» era accaduto a lui, incarnare un’epoca, guidarla nel riconoscimento di se stessa, calpestare ciò che era stato, proporsi con più o meno coscienza come il tempo nuovo. Eppure sarebbe bastato leggere Vladimir Nabokov e il suo «di tutti i personaggi che un romanziere crea, i più riusciti sono i suoi lettori» per rendersi conto che la Sagan aveva fatto proprio questo, scrivere il romanzo in cui si rispecchiavano lo stile di vita erotico, in espadrillas, l’assenza di orari e il libertinaggio senza pensieri, le grandi vacanze permanenti e la fuga da se stessi, l’esplosione della giovinezza.
Ed ha ragione la sua biografa Marie-Dominique Lelièvre quando nota che «la bande-à-Sagan», intesa tanto nel suo senso stretto, gli amici della scrittrice, i suoi paesaggi, quanto in senso largo, i suoi lettori appunto, è provinciale e bonacciona, «la macchina, la velocità, l’alcol, il riso ecco i suoi accessori edonistici, gli antidepressivi da choc di una generazione che non cerca di confrontarsi con la realtà per cambiarla, ma di divertirsi all’eccitazione vibrante dell’istante». I suoi totem sono la decappottabile, i blu-jeans, gli amici, il gioco, il ballo, il whisky e i dischi e insomma la giovinezza francese, e non solo francese, del dopoguerra. Ciò che alla Sagan in fondo si chiede «è di essere giovane, e lei fa il suo lavoro». Non è un caso che la metà degli anni ’50 segni l’era della democratizzazione delle automobili, la fine della macchina come status, magari con tanto di autista, l’irrompere della Simca e delle Due Cavalli Citroën, della Renault Dauphine... Non è un caso che, parlando della nuova DS, un semiologo come Roland Barthes osservi che «l’automobile è oggi l’esatto equivalente delle grandi cattedrali gotiche: ovvero, una grande creazione d’epoca, appassionatamente concepita da artisti sconosciuti, consumata nell’immagine e nell’uso da un popolo intero».
A tutto ciò Françoise Sagan aggiunse un tocco tutto suo. Pur senza essere bella, aveva charme e fotografie, secondo la testimonianza di chi la conobbe, le fu amico o soltanto la frequentò, non rendono giustizia a quella che era una grazia naturale, una vivacità anche intellettuale, una capacità seduttiva. Ben educata, di buone letture, mai volgare nel linguaggio, aveva una psicologia da latin lover tenuta però a freno dalle convenzioni dell’epoca, rispettate e mai infrante. Bisessuale, ma con un penchant per il proprio sesso, avrebbe sempre vissuto questo suo modo d’essere senza sbandierarlo. Eppure, come nota ancora Marie-Dominique Lelièvre, «la sua condotta assomiglia a quella di un playboy degli anni Sessanta di cui ha adottato gli attributi. Beneficiare di una celebrità internazionale. Guadagnare la propria vita lussuosamente. Bruciare il denaro senza aver l’aria di preoccuparsene. Far festa nei locali notturni. Possedere un cavallo da corsa. Giocare al Casino. Viaggiare in coupé. Sfasciare macchine da corsa. Collezionare belle donne. Fare un figlio con un modello...».
Accusata come scrittrice di superficialità, Françoise si difese dicendo che lei parlava dell’essenziale, ovvero dei sentimenti. A ventidue anni, reduce da un incidente d’auto in cui si era quasi ammazzata, aveva detto in un’intervista: «Non credo che le prove servano a qualcosa, nel senso che raramente sono sufficienti a far tacere quelle due tendenze profonde che sono un certo desiderio di felicità da un lato, un certo abbandono all’infelicità dall’altro». «Ciò che mi interessa è soprattutto la solitudine» aveva poi aggiunto.

L’attesa era per lei più erotica dell’intesa. Bonjour tristesse resta ancor oggi un piccolo capolavoro senza importanza, come del resto La chamade e Un certain sourire... Non è poco per chi visse con il piede sempre sull’acceleratore.

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