
Un'enorme miniera di sale, abbandonata nel mezzo della Sicilia. Una collina abbacinante sotto il sole punteggiata di pulegge, lamine corrose, edifici diroccati, tubature idrauliche disseccate. È un luogo che Ernesto Vassallo, medico tornato sull'isola, dopo anni a Milano, non può dimenticare. È come stampato nella sua memoria. Lì va a giocare con la sua amante, lì, per beffa del destino, ritrova morto l'uomo con cui ha appena stretto un legame inspiegabile, intessuto di poesia e amore per le piante: il marocchino Youssef.
Inizia così il giallo di Salvatore Falzone, appena pubblicato per i tipi di Neri Pozza: Il sale dei morti (pagg. 222, euro 19) e poi porta il lettore in un viaggio all'interno dei misteri che si perdono nelle viscere della miniera e, in parallelo, nelle viscere di una comunità dove la verità è sistematicamente rimossa, quasi fosse un carico di detriti velenoso e a perdere. Ma se la trama del romanzo è quella del thriller l'ordito, che la sostiene, è quello di un romanzo esistenziale. Mentre Ernesto Vassallo prova a capire cosa è successo a questo giovane - con gli occhi chiari, il piglio profetico e partito dalla sua terra con solo un pugno di poesie - che, in fondo, ha conosciuto per caso, inizia un viaggio che lo porta a riflettere su cosa sia stata la sua esistenza e su come sia la terra in cui è tornato a vivere. Tutto questo in una complessa sciarada, in cui nessun personaggio è banale e la Sicilia si rivela come una terra dove l'esistenza si attorciglia in spirali sempre più indefinibili. Sarebbe un poco scontato, dati ambientazione e stile, giocare il paragone sciasciano. Diciamo allora che Falzone che, è anche bravo biografo e saggista, usa la sua scrittura per creare ambienti descritti dalla luce e quasi per sottrazione.
Una Sicilia di vuoti e non barocca, proprio per questo angosciante. Senza quell'abuso del dialetto che un poco ammorba la maniera di molti giallisti insulari. A tratti sembra di leggere un Francesco Biamonti in versione siciliana. La leggerezza del male.