Vincenzo Salemme, lei fa film e spettacoli teatrali di cui è
contemporaneamente attore, regista e autore; ha fatto un one-man-show di
tivù; per l’anno prossimo addirittura è previsto il suo debutto a Natale al
teatro dell’Opera di Roma, dove farà la regia e canticchierà La vedova
allegra. Come ci si sente ad essere così polivalente?
«Più che polivalente, direi un nevrotico del lavoro».
Be’, però se la cerca!
«È da quando ero ragazzo che ho questa tendenza. Fare solo l’attore
teatrale, lo “scritturato”, non mi ha mai appassionato più di tanto. Ora, se
ho un sogno, è quello di diventare un classico».
C’è già qualcuno che ha ripreso i suoi spettacoli, come capitava a Eduardo?
«Non ancora, ma ci spero. Una sola volta Giobbe Covatta e Francesco
Paolantoni hanno messo in scena un mio testo, ma era scritto apposta per
loro».
Anche Bello di papà, lo spettacolo che mette in scena dal 6 febbraio per
quattro settimane al teatro Manzoni di Milano e che poi girerà l’Italia non
era nato per essere interpretato da lei.
«L’ho scritto nel 1996 per Toti e Tata, due comici che andavano all’epoca.
Poi, alla fine, il progetto non è andato in porto. E ora me lo sono ripreso,
visto che è rimasto inedito, l’ho riscritto e lo metto in scena con undici
attori».
Undici, sì. Ma non i «suoi» attori. Niente Bucirosso, niente Paone, niente
Casagrande.
«Con Bucirosso e Paone ci siamo lasciati da un po’. Maurizio Casagrande,
invece, mi dispiace non averlo con noi. Mi manca».
Non si sente un po’ troppo napoletano, teatralmente?
«Grazie al cielo, sto avendo successo un po’ dappertutto. Ma pensi che tutto
è iniziato da Roma, grazie a un direttore tecnico dell’Eliseo, Nunzio
Meschieri, a cui era piaciuto un mio spettacolo. Mi ha praticamente imposto
al suo teatro. È andata benissimo, poi - grazie a un buco di Remo Girone -
sono stato al San Babila di Milano e, solo dopo, a Napoli».
Al cinema, invece, è partito fortissimo. Poi, dopo L’amico del cuore e Amore
a prima vista, non sono venuti dei capolavori. Anzi. È d’accordo?
«Sono i film che anch’io amo di più. E si giovavano della presenza sul set
di Rita Rusic che curava molto il prodotto, quasi con cura artigianale. Gli
altri sono stati meno curati, ma non da me. Tranne forse A ruota libera, che
per me era una specie di kolossal di Natale con la Ferilli, la Arcuri,
Ceccherini, più tutti i miei. Lì mi sono proprio perso. Non sono riuscito a
gestire il gruppo e non c’era nessuno che facesse il ruolo del pubblico a
teatro, quello che se sbagli te lo fa sentire e ti dice: “Dove stai
andando?“».
Le mancava un metronomo.
«Proprio così. Tanto che, nel prossimo film, per la prima volta, a fianco a
me ci sarà un esperto di cinema: Ugo Chiti, con cui stiamo ultimando la
sceneggiatura. Mi aiuterà molto, anche perché il mondo del cinema diffida di
quelli che, come me, vogliono fare tutto da soli. O sei Moretti, o
scappano».
Nel frattempo ci sono stati Baciami piccina, film a piccolo budget molto
bello, e Olè, film a grande budget non molto bello. Pentito di averlo fatto?
«No, perché mi ha offerto una vetrina di popolarità. Credo che siano film
che vanno fatti. A Napoli, ad esempio, è andato molto bene. Lo difendo. Non
sono come quegli ipocriti che prima lo fanno e poi se ne vergognano».
Però non è andato bene. Ripeto la domanda: pentito di averlo fatto?
«A me, personalmente, non è andata malissimo».
Lo rifarebbe?
«È giusto provare a fare il film di Natale. Non è detto che sia giusto farlo
tutti gli anni».
Rifarebbe anche l’one-man-show di Ballandi? Anche lì non è andata benissimo.
«Avevamo contro Zelig, ma questo non basta a giustificare i risultati. Lo
rifarei nella presunzione di aver capito gli errori e di non ripeterli».
Quali?
«Molti, a partire dal titolo: Famiglia Salemme Show era bruttissimo».
Anche qui. Lo rifarebbe?
«Non mi hanno mai richiamato».
Non la chiamano nemmeno per le fiction e, anche al cinema, mette in scena quasi solo lavori suoi. Non è che lei è troppo solista?
«No. Però capisco che, a volte, possa arrivare questa falsa immagine».
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