Salotti, festival, premi Bestiario culturaloide

Vetrina e show-room dell’intellighenzia italiana, il Salone del Libro di Torino è lo specchio culturale del Paese, trasparente come la scrittura che va per la maggiore e deformante come il pensiero unico. E allora, per fare a pezzi quell’élite di cialtroni, snob, ipocriti e finti-buonisti che è il gotha intellettuale italico, cosa di meglio che iniziare a prendere a martellate il Salone di Torino, per mandare in frantumi, di riflesso, tutti i nostri salotti letterari?
Ed è sferrando una mazzata contro la kermesse del luogo comune che Massimiliano Parente - il più grande scrittore italiano «postumo» secondo lui, e anche post-moderno secondo noi - inizia la sua devastante opera di abbattimento di quel tragicomico totem, spesso venerato a sproposito, che chiamiamo Cultura. Lo fa scagliando un radicale pamphlet, il cui livello di velenosità è inversamente proporzionale al grado di conformismo, contro La casta dei radical-chic, da titolo del suo «Libro che farà tremare i salotti italiani», come viene presentato nella fascetta di copertina dall’editore Newton Compton. Che, un po’ confidando nel marketing un po’ nel senso dell’autoironia delle persone citate da Parente, ha deciso di allegare al libro un «Atto di querela» prestampato per tutti coloro che, a fine lettura, si sentiranno diffamati. Avendo noi finito la lettura, temiamo saranno molti, dalla A di Augias, alla B di Busi, alla C di Crepet... da Annozero all’Isola dei famosi, dai David di Donatello alla Fiera dei piccoli editori, da Walter Veltroni a Saviano, da Einaudi ad Alberto Gaffi editore in Roma...
Nella sua assoluta inutilità, splendido manuale di sopravvivenza in un mondo in cui chi annega è semmai un eroe, il libro-molotov di Parente fa saltare in aria il nostro provincialismo culturale, veramente chic e fintamente choc. Partendo, appunto, dal Salone del Libro, «il Castello di Kafka in versione post-moderna e postmortem» - dove peraltro per uno di quei curiosi cortocircuiti mediatici cui siamo abituati lo stesso Parente sarà presente come Autore esposto nello stand della Newton Compton: andate a trovarlo! -: «A Torino e altrove, nel Paese dei radicalchic che non leggono, si è sommersi sempre più da libri inutili, ma già Leopardi, quando in teoria i conformisti grafomani erano meno di oggi, notava come ci fossero più libri che lettori. Negli ultimi decenni l’aspirante scrittore si è moltiplicato a vista d’occhio, anche per una ragione semplice: ci sono altrettanti editori, o sedicenti tali... L’editoria è l’unico settore economico in cui l’offerta supera la domanda, e nonostante tutto si offre sempre di più».
Massimiliano Parente, proprio come Michelangelo Pistoletto mandava in frantumi i suoi quadri-specchio per moltiplicare la realtà, infrange ogni possibile tabù intellettuale per ingrandire sotto la sua lente d’ingrandimento l’ignoranza arrogante, banale, conformista e contagiosa che domina dentro e attorno alle torri d’avorio. Tutte da abbattere, come i santuari del Pensiero. La Biennale dell’Arte? «A Venezia vado sempre volentieri quando sono costretto... Ho deambulato per ore, il problema è che pure qui la genialità ha lasciato spazio alla coglionaggine, all’ignoranza, alla fighetteria, ai pettegolezzi, all’impara l’arte e mettila da parte o almeno in un Padiglione». Il politicalchic dominate nella narrativa? «Da noi difficilmente emerge uno scrittore assoluto che non cincischi con la “coscienza civile”, il fascismo, l’antifascismo, i precari, la crisi economica, l’immigrazione, la mafia». I radical-chic che predicano l’antioccidentalismo pacifista e terzomondista? «Basterebbe prendere tutti i moderni intellettuali convinti che l’Occidente e la modernità siano la peste dell’umanità e mandarli a vivere nella natura incontaminata in Burundi, o in Senegal, ovunque non ci sia l’Occidente malvagio e oppressore né una televisione dove andare ospiti a fare gli opinionisti e in cambio fare entrare tutti i morti di fame dei Paesi sottosviluppati che invece l’Occidente lo desiderano e vorrebbero tanto fare la vita degli intellettuali antioccidentali». Il Premio Strega? «Premia l’intrattenimento narrativo, premia ciò che non resterà, lo premia per questo ed è per questo che hanno senso i premi, per dare oggi a chi non è niente la posterità che non avrà un domani e nemmeno da vivo, tra tre-quattro anni, quando finirà ai remainders sostituito da altri stregati». Il Festival di Sanremo? «Morgan pur di andarci si è rimangiato tutto il crack dichiarato, e dispiace tanto anche a lui di aver detto quelle cosacce diseducative, facendo passare un concetto ancora più diseducativo della droga: che pur di andare a Sanremo si è disposti a farsi umiliare a Porta a Porta da chiunque, da Don Mazzi a Stefano Bonaga». Gli scrittori? «La qualifica di “scrittore” è diventata una borsetta griffata a portata di chiunque, basta aver pubblicato uno o più libri, non importa se opere d’arte o meno, anzi quasi mai romanzi. Paradossalmente, mentre lo scrittore conta sempre meno, tutti ambiscono a essere “psichiatra e scrittore”, “giornalista e scrittore”, “blogger e scrittrice”, “attrice e scrittrice”, “mignotta e scrittrice”...

Del resto in democrazia chiunque può essere un “... e scrittore”. Difficile trovarne uno che abbia scritto non dico Madame Bovary, ma che almeno l’abbia letta».
Per leggere, peraltro, c’è sempre tempo. È per pensare che manca sempre.

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