Salute

Cinofobia, perché si ha il terrore dei cani

Il disturbo è fortemente debilitante a causa della scarsa conoscenza dello stesso da parte dei proprietari di questi animali

Cinofobia, perché si ha il terrore dei cani

Secondo il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) redatto dall'American Psychiatric Association, solo il 12-30% dei soggetti che ne soffrono cerca una soluzione al proprio disturbo mediante un trattamento appropriato. La cinofobia è la paura irrazionale nei confronti dei cani da compagnia e randagi. Si teme che questi animali possano dimostrarsi aggressivi o mordere. Il timore, che rientra nella macro categoria delle fobie specifiche, è uno dei più diffusi (dopo quello dei serpenti e dei ragni) e risulta fortemente debilitante a causa della scarsa conoscenza della problematica da parte dei proprietari degli amici a quattro zampe. Il termine deriva dall'unione di due parole greche, "chiùon" ovvero "cane" e "phobos" cioè "paura". Quindi significa letteralmente "paura dei cani".

La cinofobia può essere un disturbo fobico semplice oppure è l'espressione di un quadro psicologico più complesso, ad esempio si manifesta in individui alle prese con altre fobie o con problemi di ansia generalizzata. Non si conosce ancora la causa che la scatena, esistono tuttavia diverse ipotesi a riguardo. Una teoria sostiene che siano tre le condizioni in base alle quali si sviluppa la paura: esperienza personale diretta, esperienza osservativa ed esperienza informativa o istruttiva. La prima consiste nell'aver vissuto un episodio negativo con un cane (essere stati morsi o aggrediti). Per quanto riguarda la seconda, il timore deriva dall'osservare comportamenti minacciosi di un animale nei confronti di un parente o di un amico. La terza, infine, è l'esito di angosce trasmesse direttamente da un conoscente o indirettamente (film, libri, documentari).

Per l'interpretazione psicoanalitica la fobia insorge quando il soggetto proietta su elementi esterni o situazioni i suoi tormenti interiori, nel tentativo di arginare le rappresentazioni che provocano uno stato di angoscia. Esemplare è il caso del piccolo Hans descritto da Freud. Il bambino, manifestando un'avversione per gli animali, celava in realtà il desiderio di attaccare il padre, visto come una persona pericolosa. La cinofobia sembrerebbe essere, altresì, il risultato di fattori biologici, per la precisione una miscela di apprendimento e genetica. Questa va intesa come un residuo evolutivo di un precedente meccanismo di difesa, ovvero la necessità di sfuggire al fine di evitare di diventare vittima dei predatori.

L'esposizione diretta o anche una semplice foto di un cane può scatenare nel cinofobico una serie di sintomi fisici: palpitazioni, tremori, sudorazione profusa, nausea, vertigini, svenimento. Non è raro che essi sfocino in un veri e propri attacchi di panico. Conscio della propria paura, il paziente mette in atto una serie di strategie di evitamento, tra cui: non attraversare la strada per scongiurare l'incontro con l'animale, tenersi lontano da aree in cui potrebbero esserci dei cani, non frequentare case di amici e/o parenti che li possiedono.

Se non trattata adeguatamente la cinofobia può dar vita a diverse complicazioni: agorafobia con associata riluttanza a lasciare la propria abitazione, fobia sociale e persino depressione.

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