Salute

«Ho studiato la mente dei cuochi Con il loro cervello si scopre come aiutare chi ha danni cerebrali»

Il professor Cerasa ha messo a punto un protocollo unico al mondo: «Dopo musica e scacchi ora uso la cucina»

Il protocollo messo a punto dal professor Antonio Cerasa, neuroscienziato del Cnr, è l'unico al mondo pensato e diretto sulle capacità che si possono allenare grazie alla cucina. Un protocollo di riabilitazione per il recupero delle funzioni cognitive, sfruttando le pratiche della cucina. Il professor Cerasa, nel 2017, ha infatti condotto una ricerca scientifica, analizzando il cervello di tre chef della Calabria. In collaborazione con l'Istituto Sant'Anna di Crotone, l'esperto ha avuto l'idea di creare un nuovo protocollo di cura e riabilitazione per dimostrare che la pratica in cucina può diventare una vera e propria terapia riabilitativa utile per il recupero funzionale di pazienti con danni cerebrali.

Professore, ci spiega di cosa si tratta?

«La neuro-riabilitazione ha sempre giovato delle scoperte delle neuroscienze su come potenziare il cervello lavorando. Dopo aver tradotto le abilità acquisite dalla pratica musicale o dagli scacchi in veri e propri programmi riabilitativi, ora è il turno della cucina. E dopo aver dimostrato che il cervello degli chef si caratterizza con evidenti fenomeni di plasticità neurale, ora è arrivato il momento di tradurre queste scoperte in strumenti funzionali».

Che idea vi siete fatti?

«La nostra ipotesi è che nell'attività quotidiana degli chef si nascondono specifiche abilità che possono essere tradotte in esercizi per persone che hanno perso quella particolare funzione. Esattamente quello che accade nei pazienti con danni del cervelletto che, contrariamente agli chef, hanno problemi di sincronizzazione motoria e difficoltà nella pianificazione mentale».

A quali tipologie di pazienti si può applicare la cucina-terapia?

«Le applicazioni sono le più varie. Ha effetti benefici nei pazienti affetti da malattie neurologiche, come ictus, traumi cranici, patologie legate all'invecchiamento; sui pazienti psichiatrici, ovvero con dipendenze da droga o alcol, o anoressici; infine per chi ha disabilità come sindrome di Down, autismo e ritardi mentali».

E quali sono gli aspetti in cui è possibile intervenire?

«La terapia ha tre effetti: cognitivo, motorio, emotivo. Sul primo aspetto si hanno ripercussioni sulla velocità di pensiero e sulla programmazione degli eventi. Sull'aspetto motorio si punta sulla sincronizzazione dei movimenti, abilità manuale, gestualità. Infine c'è un altro aspetto importante, quello emotivo. In questo caso la cucina diventa uno stabilizzatore dell'umore, contro ansia e depressione. Infine c'è tutto un aspetto di socializzazione da non sottovalutare. Ad esempio, per i ragazzi affetti dalla sindrome di Down, c'è la riappropriazione di un ruolo all'interno della società».

SS

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