«L'operazione? L'ultimo passo»

Andrea Bianchi: «Si deve seguire il sintomo, non la deformità»

Bisogna seguire il sintomo, non la deformità. «Il dolore è un sintomo che va preso sul serio, è un modo con cui il nostro organismo ci dice che è arrivato il momento di fare qualcosa». Lo spiega Andrea Bianchi, responsabile del Centro di Chirurgia del Piede di Humanitas Mater Domini, chirurgo ortopedico che ha sviluppato in Italia la tecnica di correzione percutanea o mininvasiva per le patologie dell'avampiede.

«L'intervento chirurgico è sempre l'ultimo passo. Di fronte al dolore - precisa - bisogna innanzitutto rivolgersi a un podologo, che proverà a curarlo in modo conservativo. Per le patologie del piede l'arma è il plantare: se il piede si infiamma o si crea una deformità che causa dolore, dobbiamo innanzitutto cercare di sostenerlo, poi curare l'infiammazione con trattamenti come ultrasuoni, tecar, magnetoterapia, ionoforesi. Solo se il dolore non passa, ci si rivolge al chirurgo ortopedico ed è importante che sia specializzato nelle patologie del piede». Si tratta infatti di «una poliarticolazione: il piede poggia su 5 metatarsi, quindi può capitare che operandone uno il carico si trasferisca su un altro e non sia sufficiente un solo intervento. Dunque non si opera per la deformità, ma per una deformità sintomatica cioè dolorosa, perchè l'intervento chirurgico produce una frattura e c'è sempre un 2% di imprevisti».

E l'intervento mininvasivo? «La chirurgia percutanea non è per tutte le patologie, ma per la maggior parte delle deformità dell'avampiede: alluce valgo, quinto metatarso varo, metatarsalgia, dito a martello. La mininvasività consiste negli accessi percutanei, forellini attraverso i quali si effettuano delle piccole fratture, e nel non usare mezzi di sintesi, chiodi, fili o altro, per stabilizzare. Per consolidare la frattura servono sempre 40-60 giorni». Su cosa puntare per la prevenzione? «Cambiare la tipologia delle scarpe. Quelle con il tacco e le ballerine, le scarpe estreme, fanno entrambe male. Si possono portare, ma alternandole. Il punto è evitare che il piede si contragga: non cercare di infilarlo nella scarpetta di Cenerentola. E ricordarsi che la scarpa è in sè dannosa perchè toglie al piede gli stimoli di cui ha bisogno per tenere trofici i muscoli». Quindi meglio andare scalzi? «In casa non serve a niente, occorrono terreni che offrono stimoli, sabbia, prati, ghiaia, andare sugli alberi. E' importante soprattutto per i bambini. Stiamo assistendo a un aumento del piede piatto: i bimbi non camminano più scalzi, i muscoli che sostengono il piede non si formano e attorno ai 9-10 anni dobbiamo intervenire».

E gli adulti? «Se proviamo a camminare scalzi su dei ciottoli non riusciamo: i muscoli sono atrofizzati e non possiamo chiedere a un piede abituato a stare nelle scarpe di andare all'improvviso scalzo».

Camminare sulla spiaggia? «Occorre un piede che sta bene, non risolve i nostri dolori nè cura le infiammazioni, anzi può peggiorarle. Quando i pazienti me lo chiedono, rispondo di farlo con l'acqua fino all'altezza dell'ombelico, ma non al ginocchio o alla caviglia. Sarebbe come giocare 90 minuti a calcio senza essere allenati».

MAg

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