Salute

Spunta il vaccino italiano a Dna: ecco come funziona

Prodotto da Takis e Rottapharm Biotech, il vaccino a Dna è il primo ad essere approvato per l'Europa: già efficace contro virus e varianti, ecco come funziona e quale potrebbe essere il suo uso al di là del Covid

Spunta il vaccino italiano a Dna: ecco come funziona

Covid-eVax, il primo vaccino europeo a Dna, parla italiano: sviluppato dall'azienda Takis con sede a Castel Romano e Rottapharm Biotech con sede a Monza e Brianza, si trova già a buon punto con le sperimentazioni in fase 1.

"Immunità al 90%"

Il nuovo vaccino "è risultato ben tollerato e ha indotto una risposta immunitaria (anticorpale e/o cellulare) a tutte le dosi testate (0.5 mg, 1 mg e 2 mg, somministrate in doppia dose», fanno sapere le aziende. La migliore risposta è stata osservata nel gruppo trattato al dosaggio più alto, "con l'induzione di una risposta immunitaria fino al 90% dei volontari». Particolarmente rilevante è stata la risposta di tipo cellulare, quella cioé generata dai linfociti T, che integra quella generata dagli anticorpi e impedisce la replicazione del virus nelle cellule umane infettate.

Cos'è il vaccino a Dna

Se abbiamo imparato a conoscere cos'è l'Rna messaggero dei vaccini Pfizer e Moderna, proviamo a capire quali sono le caratteristiche di un vaccino a DNA. Quello targato Takis-Biotech sviluppa l'elettroporazione, tecnologia sviluppata in collaborazione con l'azienda Igea di Carpi: grazie a brevi stimoli elettrici, media il passaggio del Dna all'interno delle cellule e attiva il sistema immunitario. Covid e-vax, poi, produce una rapida attivazione del sistema immunitario attraverso l’immissione nel muscolo di un frammento di Dna del virus contenente una porzione della proteina Spike che dà il via alla produzione degli anticorpi.

«È l'unico in sperimentazione clinica in Europa basato sul Dna, mentre quelli approvati al momento attuale sono basati su Rna messaggero o su vettori adenovirali», spiega a Sputnik Italia Luigi Aurisicchio, amministratore delegato e direttore scientifico di Takis Biotech. E poi, enormi vantaggio anche sul piano economico perché questo vaccino «non ha bisogno di complesse formulazioni, può essere prodotto in larga scala e non ha necessità della catena del freddo», affermano i ricercatori.

«Il Covid-eVax è un vaccino "di precisione" perché produce solo una porzione specifica della proteina Spike, fondamentale per l'ingresso del virus nelle nostre cellule - ha sottolineato Emanuele Marra, Direttore del dipartimento Malattie infettive della Takis - I dati ottenuti indicano un alto livello di sicurezza e potenziale efficacia». Per quanto riguarda le varianti, gli studi effettuati mostrano che gli anticorpi generati dal vaccino «sono in grado di neutralizzare SARS-CoV-2 e le sue varianti più preoccupanti a livelli similari», ha aggiunto Giuseppe Roscilli, direttore del dipartimento di generazione e produzione degli Anticorpi monoclonali, di Takis. Ma la corsa di questo vaccino guarda anche verso altre tipologie di utilizzo.

"Utile anche in campi diversi"

Il vaccino a Dna apre anche nuove frontiere che guardano al di là della pandemia da Covid-19. «I risultati preliminari sono favorevoli - ha dichiarato Lucio Rovati, Presidente e Direttore Scientifico di Rottapharm Biotech - Riteniamo che i dati generati in questo studio siano una validazione dell'efficacia della nuova piattaforma tecnologica dei vaccini a dna, diversa rispetto a quelle già disponibili a RNA messaggero o a vettore virale, e potenzialmente utile anche in campi diversi, come ad esempio per il trattamento di alcune patologie oncologiche». Purtroppo, la sperimentazione ha subìto ritardi enormi: da aprile 2020 a marzo 2021 per cause di forza maggiore: adesso sono pronti a partire con fase 2 e 3 a patto che ci siano i giusti finanziamenti. «Noi abbiamo fatto tutto ciò che ci era possibile, non possiamo andare avanti. Per la seconda fase servirebbero circa 20 milioni di euro, per la 3 altre decine, o forse centinaia. Con le risorse necessarie saremmo in grado di concludere il prossimo anno, garantendo la disponibilità del vaccino», afferma Rovati a Repubblica.

Pregliasco: "Bisogna finanziare il lavoro"

Il tema del sostegno alla ricerca ricorre anche nei discorsi di Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università degli Studi di Milano, il quale spiega sempre a Repubblica che se il nuovo vaccino italiano vuole vedere la luce, serve un'organizzazione che finanzi il proseguimento del lavoro. «La fase 1 è la prima sperimentata sull'uomo, e fa da filtro - spiega il virologo - la 2 e la 3 sono quelle in cui si stabiliscono, fra le altre cose, il dosaggio e la sicurezza. Durano mediamente 3-4 mesi. Sempre che, però, possano essere sostenute economicamente». Tempo e denaro, insomma: ma più si va avanti con le vaccinazioni, più sarà difficile reperire volontari per le sperimentazioni: una nuova strada potrebbe essere quella di cercarli a livello internazionale, anche se ciò comporta una certa spesa.

«In ogni caso è una strada che andrebbe percorsa perché possiamo dare ancora molto per combattere questa pandemia, che ci sta mettendo alla prova anche oggi».

Commenti