Il saluto a Brigida: «E ora ci racconti i segreti del Palazzo»

E adesso la moglie potrà finalmente cucinargli la cassouela, sua vera passione fino a oggi bandita per non appestare tutto Palazzo Marino. Piazza della Scala perde il suo ultimo (e unico) residente. Dopo 38 anni Giuseppe Franco Brigida, per tutti Brigida, lascia il suo appartamento di custode. «Era il sacerdote di questa casa - lo saluta Gabriele Albertini, un altro ex “inquilino” - Una propensione quasi religiosa per il lavoro, un esempio di sacralità dell’istituzione». Milleduecento euro al mese, a fine carriera, per timonar la portineria. Senza mai bisogno di fare il cerbero. Meglio il pugno di ferro, in guanto di velluto. «Il miglior sindaco? Non spetta a me fare classifiche». Ma almeno il più simpatico? «Tutti» per chi, vivendo tra i politici, ha fatto della diplomazia un habitus. Il segreto per passare indenne attraverso sette sindaci dei colori più diversi? «Gentilezza, gentilezza, gentilezza». Non a caso ieri a salutarlo c’erano tutti: Carlo Tognoli, Paolo Pillitteri, Giampiero Borghini, Marco Formentini, Gabriele Albertini e una commossa Letizia Moratti che gli ha assegnato l’Ambrogino. «Ora - la nuova missione - dovrebbe scrivere le memorie di questi quarant’anni, una pezzo della storia di Milano». Mancava solo Aldo Aniasi che Brigida vegliò nella bara posata in sala Alessi. Lì dove vide i milanesi in coda davanti a Eugenio Montale, ma anche le cinque vittime della strage di via Palestro. Ma la gioia più grande è stato il presidente Massimo Moratti che ieri gli ha consegnato la maglia del centenario con tanto di nome. «Il miglior portiere. Importante per Milano, ma per l’Inter è una colonna».
L’inizio della storia? Il 16 aprile 1970, quando si licenziò dalla Borletti e da «operaio generico» lo misero a lavare i vetri al settore Sport e Turismo. Poi la promozione. Prima la notte, al posto del Granzetti, «dalle 7 di sera alle 7 di mattina». Ogni due ore il giro del palazzo. Stanza per stanza. Oggi la richiesta di un mese di lavoro in più per permettere all’adorata primogenita Elisa di sposarsi in san Fedele. «Qui dietro, la nostra parrocchia». Il solito miracolo a Milano dove chi arriva diventa più milanese dei milanesi. Nonno Giuseppe partì da Foggia con sette figli per fare lo stagnino. Papà Antonio fu per 35 anni (la fedeltà è un gene di famiglia) autista «del civico obitorio» e il nonno materno Luigi Cerri smise di fare il contadino a Settimo Milanese per dedicarsi «ai civici giardini».
Tra i ricordi di Carlo Tognoli «il 31 luglio 1980 fu fatta esplodere una bomba. Fortunatamente il consiglio era finito e a palazzo Marino c’eravamo solo Brigida e io. Il ricordo più felice? L’Inter in serie A e il Milan in B e finalmente noi due interisti potevamo tifare anche per loro». Per Paolo Pillitteri, invece, «Brigida era il punto stabile nei momenti di crisi.

Durante la prima repubblica le giunte spesso cambiavano e un giorno Brigida mi disse che l’importante era la continuità del sindaco. I sindaci passano, gli dissi, ma Brigida resta». Sette ne sono passati. «Oggi - dice lui - sono felice, ma anche triste perché lascio un lavoro che è stato la mia vita».

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