Milano - I sogni son desideri e in fondo anche i film, se è vero che in «Happy family», pellicola interamente girata a Milano e appena uscita nelle sale, Gabriele Salvatores ha immaginato per un momento «la sua Manhattan». Ma lontano dal set che ha trasformato la città della Madonnina in un palcoscenico a tinte cibachrome, il regista torna volentieri alla realtà di luoghi familiari e al contempo sconosciuti, da vivere negli intervalli tra un viaggio e l’altro nella sua casa di via Mario Pagano o sull’amata bicicletta che inforca anche quando deve spingersi nel quartiere QT8 dove abitano i genitori. Proprio a cavallo delle due ruote, incluso il periodo delle riprese del film, dice di aver imparato a conoscere la bellezza meno apparente di «una città che ama nascondersi».
Viene in mente Moretti che in Caro Diario scopre Roma sulla vespa interrogando le facciate della case...
«Lasci stare Roma che è una classica città da esterni e non ha certo bisogno di essere scoperta. È tutta lì, con la sua bellezza straripante e dove perfino la gente parla forte perchè è abituata a star fuori. A Milano, invece, ho scoperto un vecchio proverbio che dice: l’esterno per i barboni, l’interno per i padroni...»
È per questa ragione che tutti corrono?
«È un paradosso, che però ci fa riflettere su un concetto di bellezza qui inteso come un bene da custodire gelosamente, anche in cassaforte, nelle case, magari nei cortili. Però...»
Però?
«Questa bellezza può essere anche svelata osando un po’ di più, chiedendo ai custodi di visitare gli ingressi di palazzi straordinari, oppure semplicemente rallentando la velocità e autoeducandosi allo sguardo così come ci insegna il cinema. Muoversi in bicicletta può aiutare. Se cammini, guardi avanti o ad altezza piedi, se sei in macchina il tetto ti impedisce la visuale alta, mentre pedalando si ha la naturale tendenza a guardare a 360 gradi anche perchè la velocità è ridotta. E si possono fare un mucchio di scoperte».
Lei che ha scoperto?
«Beh, io da sempre adoro l’architettura e a Milano esistono palazzi meravigliosi. Di recente ho scoperto palazzo Turati, sede della Camera di commercio, che ha un’estetica rigorosa e lineare tipica degli anni Trenta. È uno di quei classici edifici che, purtroppo, nessuno guarda mai. Recentemente, camminando nei pressi di via Montenapoleone, sono rimasto attratto da una casetta di mattoni che aveva sulla porta una targa con la scritta “chiesa“. Sono entrato e ho scoperto che era l’entrata laterale della parrocchia di San Francesco di Paola: un gioiellino barocco che mi ha lasciato a bocca aperta».
Ci sono luoghi a cui è particolarmente legato?
«Un bel po’. Ad esempio la zona di via San Marco dove c’è un palazzo, all’altezza della vecchia Darsena, che ospitava il mitico locale Macondo. Amo talmente tanto quella casa che l’ho infilata anche nel film. Poi adoro due luoghi legati agli anni in cui ho iniziato a fare teatro, entrambi vicini all’acqua: via Manusardi, nel Ticinese, dov’era la sala del vecchio Teatro Uomo, e poi la zona di Gorla che costeggia il naviglio Martesana dov’è ancora il teatro Officina. E ancora, rimango sempre incantato davanti ai palazzi di una delle zone per me più affascinanti (anche se mio padre non sarebbe d’accordo), quella tra viale Majno e piazza Duse. Un trionfo di architettura Liberty che a Milano è stata completamente riscoperta durante gli anni Settanta, quando i motivi floreali erano di moda. Poi mi piacciono molto i colori delle case, l’accostamento di certi gialli a certi grigi che ricorda Vienna. Ma anche dei punti di rosso particolarissimi».
Per il lancio di «Happy Family» ha organizzato addirittura una biciclettata. Il pavè e le rotaie non la spaventano un po’?
«Non ne parliamo.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.