Salvatores: "Ecco il mio thriller sull’adolescenza"

Il regista a Locarno presenta un documentario sui bambini del Terzo Mondo e parla del suo nuovo film. "Ai bambini non bisogna dare pesci ma insegnar loro a pescare"

Salvatores: "Ecco il mio thriller sull’adolescenza"

Locarno - Il mondo dei bambini torna a interessare Gabriele Salvatores, il regista napoletano d’origine, ma milanese d’adozione, che ieri ha presentato Petites hitorias das crianças, documentario sul progetto InterCampus, voluto dall’Inter per favorire, tramite il calcio, lo sviluppo delle piccole vittime della guerra o della povertà. Dalle favelas brasiliane ai barrios argentini, passando per la Cina, la Polonia, il Libano, l’Iran, ovunque, insomma, vivano minorenni disagiati, oppressi da fame, povertà, abbandono, il regista ha filmato, insieme a Fabio Scamoni e a Guido Lazzarini, piccole storie di ragazzini orfani, disabili, condannati all’infelicità per nascita e collocazione geografica. Ma c’è il pallone, per fortuna, e certi scalcinati campetti nel nulla, dove i piccoli, indossando la maglia nerazzurra, corrono a perdifiato, sperando di cambiare le proprie miserabili esistenze. «Questa iniziativa meritoria data ormai dieci anni e rappresenta il mio primo lavoro su commissione, sì, ma del cuore», spiega Salvatores, che, per la specifica occasione, ha messo in piedi la casa di produzione «Red House», insieme ai colleghi co-firmatari del documentario, e a Carlotta Moratti, figlia del presidente dell’Inter. «Ho capito una cosa: il calcio professionistico, che siamo abituati a vedere in televisione, ha perso quella freschezza, che invece il pure e semplice gioco della palla ha mantenuto vivo», osserva il cineasta, che ha filmato oltre una decina di film, tra i quali si annovera il premio Oscar Mediterraneo (1991).

«Con questo documentario, voglio dimostrare che siamo tutti sulla stessa barca. È un po’ quanto sostiene Bono degli U2 quando canta One world, one heart, un mondo un cuore. Certo, adesso avrò problemi con Diego Abatantuono, che già mi invidia», scherza Gabriele che fa strano vedere, lui, decisamente schierato a sinistra, in riverente compagnia di un capitalista compassionevole quanto si vuole, ma pur sempre membro dell’altra sponda dei petrolieri.
E ancora ai bambini è dedicato il prossimo film di Salvatores, che ha appena finito di montare Come Dio comanda, film di suspense, che andrà al Festival di Berlino. Per la seconda volta in tandem con lo scrittore Niccolò Ammaniti (nel 2003 Salvatores ne portò sullo schermo Io non ho paura e stavolta tocca a Come Dio comanda, edito da Mondadori), il regista è fortemente attratto dall’innocenza bambina. «In dieci anni di InterCampus ho affinato la mia coscienza del lavoro collettivo: nel gioco di squadra, infatti, e il cinema lo è, a segnare il gol è solo uno, ma tutti lavorano per realizzarlo. E ho compreso che conta un messaggio soprattutto: non dateci pesci, ma insegnateci a pescare. E ciò vale sia per i bambini poveri che per quelli affamati di verità, come il piccolo protagonista del mio prossimo film».

Nei due libri di Ammaniti il cineasta ha trovato un elemento fondamentale nella sua poetica di regia: «Il passaggio dall’età infantile, adolescenziale, a quella adulta. Il distacco dai genitori è sempre doloroso, ma necessario e tale transito, che non resta comunque senza conseguenze, mi riprometto di cogliere con la mia nuova pellicola “calda” nonostante sia ambientata in Friuli, il luogo più freddo che io conosca». Come Dio comanda è un thriller con al centro la storia toccante di un undicenne molto sensibile, vessato da un padre neonazista, che tuttavia lo ama, dimostrandolo però a modo suo, tra violenze fisiche e morali. Prodotto dalla Colorado Film e da Raicinema, il film annovera nel cast Filippo Timi, nel ruolo del padre autoritario e tuttavia amorevole; Elio Germano, come «Quattro Formaggi», amico del terribile genitore, e Fabio De Luigi, nei panni dell’assistente sociale Trecca.

«Continuo a girare film sui bambini, sui figli che non ho, ma che rincorro da un documentario a un lungometraggio. Di fatto, posso dire che la mia famiglia è ormai rappresentata dalle persone con cui lavoro fin dai tempi del Teatro dell’Elfo», spiega Salvatores, che è stato anche insignito del titolo di Commendatore della Repubblica italiana.

«I festival intellettuali come Berlino e Locarno mi attirano molto e, di solito, mi portano fortuna. Certo credo che occuparsi d’infanzia sia questione assai delicata, ma cerco di mettere nel mio lavoro tutto quello che ho appreso fin qui».

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