Quindici anni fa, assieme a tanti colleghi di tutto il mondo, mi trovavo davanti ai cancelli di San Patrignano. Era appena morto il grande uomo dal cuore grande. A 61 anni, molto prima di realizzare tutti i suoi sogni, Vincenzo Muccioli aveva lasciato San Patrignano. Era l'unico modo: mai, altrimenti, avrebbe abbandonato la collina sopra Rimini, dove duemila ragazzi scampati alla droga erano diventati la sua famiglia allargata, dentro una casa tutta particolare, fondata sul lavoro, sul rispetto, sulla dignità umana.
Quel giorno, 19 settembre 1995, tutti rividero scorrere un film molto italiano, zeppo di sentimenti, di emozioni e ovviamente anche di chiacchiere. Questo artigiano dell'amore, che s'era inventato una strada tutta sua, partecipando poco ai grandi congressi di psichiatria, ma frequentando molte notti nelle sordide stazioni di Romagna, non era facilmente inquadrabile. Chi lo amava, chi lo detestava. Chi lo voleva santo, chi lo faceva demonio. Tutto dipendeva in fondo dai suoi modi spicci, usati per scuotere i giovani zombi che raccattava negli angoli più degradati, dove i professionisti della psicologia non andavano mai a sporcarsi le mani. Per sua stessa ammissione, Vincenzone non amava i guanti bianchi. Quando serviva, arrivava al metodo estremo della coercizione. Al famoso processo si parlò di catene e di schiaffoni. Anche di un morto: quel Roberto Maranzano che non era sopravvissuto all'«opera di convincimento» del team di San Patrignano. Su questa storiaccia, molti giocarono sporchissimo: come se il caso estremo, peraltro accaduto in piena trincea, potesse bastare per abbattere tutta la grandiosa idea di San Patrignano.
Quel processo, e improvvisamente la morte di Vincenzo, il 19 settembre sembravano volteggiare come foschi presagi sull'intero borgo della redenzione. L'impresa era all'apice del successo. Dai suoi laboratori, i ragazzi riabilitati mandavano sul mercato buon vino e capi griffati, purosangue e formaggi, oggettistica e pezzi d'arte. Tutti quanti, davanti ai cancelli della comunità listata a lutto, si ponevano la stessa, inevitabile, segreta domanda: quanto durerà, senza Vincenzo? Durerà, senza Vincenzo?
Abituati al mito della personalità, condizionati dal fascino istrionico di un personaggio straordinario, tutti evidentemente commettevano un colossale errore di valutazione. Questo errore consisteva nell'identificare la comunità con il suo fondatore, il suo padre-padrone, il suo sacerdote laico. Tutti allora dicevano: cosa vuoi mai, Andrea e Giacomo, i figli, non hanno certo la personalità e il carattere del papà. Tutti dicevano: i suoi collaboratori, ex-dipendenti dalla droga passati alla dipendenza da Muccioli, si perderanno per strada…
Invece siamo qui a celebrare il vero orgoglio di un vero made in Italy. Il passare del tempo ha smascherato nel modo più poetico e inatteso quanto fossero sballate le previsioni. Proprio lui, il guru dalla personalità schiacciante, aveva lavorato sottobanco ad una soluzione diversa.
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