San Valentino, festa «fatale» per il boss

Come a volte accade anche nella realtà, il boss alla fine si è tradito per amore. Paolo Latella, calabrese robustamente impiantato a Milano, era latitante da mesi. Per mesi era sfuggito con abilità alla caccia che gli dava la Dia, che lo considerava un pezzo importante del network di ricatti e di traffici messo in piedi da Pepè Onorato, una leggenda della ’ndrangheta al nord. La cattura di Latella era l’unico pezzo che mancava a chiudere la rete. E la rete si è chiusa quando Latella ha abbassato la guardia per il più umano dei motivi: sua moglie voleva festeggiare insieme a lui il giorno di San Valentino. Latella ha accettato e all’appuntamento ha trovato anche i carabinieri di Reggio Calabria. Fine della fuga.
E ieri, a quattro giorni dalla cattura dell’ultimo fuggiasco, si chiude anche l’indagine sul clan di Onorato. È stata la più importante finestra aperta nell’ultimo periodo sugli affari della malavita milanese di livello. La Dia milanese, comandata dal capocentro Stefano Polo, ha radiografato in diretta traffici vecchi e nuovi, mentre dal bar Ebony, in via Vallazze, il vecchio padrino veniva osservato tirare le fila di una catena impressionante di estorsioni.
In questi mesi l’indagine, guidata dal pm Celestina Gravina, ha raccontato che due vecchi comandamenti sono ancora validi. Il primo: la malavita non prospererebbe se i suoi affari non si intrecciassero strettamente con quelli dell’imprenditoria «pulita». Il secondo: nel vasto mare del crimine, c’è spazio per tutti. Imbroglioni compresi. Un esempio classico di commistione è quello di Marino Bonalumi, facoltoso imprenditore lombardo, ramo grafico: ha iniziato chiedendo ai balordi il favore di recuperare per lui qualche credito difficile da riscuotere, ed è finito legato a loro mani e piedi. Adesso è in carcere, e i suoi beni sono stati sequestrati.
Un esempio ancora più vistoso di «zanza», cioè di truffatore, in grado di vivere in simbiosi con i clan è quello di Sergio Landonio. È lo stesso imbroglione che rovinò il povero Luigi Fasulo, spingendolo a schiantarsi - per sbaglio o per disperazione - con il suo aeroplanino contro il Pirellone. Qui Landonio riappare come regista di un traffico vorticoso di opere d’arte: alcune vere e importanti, più spesso croste e madornali. Landonio ha rastrellato i fondi di clan dai nomi pesanti: gli Zavettieri di Corsico, i Candeloro di Seregno, i luogotenenti dei Di Lauro casalesi. Ha raccolto la complicità di mercanti dal volto pulito: come il veneziano Marco Semenzato, re delle case d’aste, o come Franco De Matteis, intermediario di fiducia dell’ex presidente del Real Madrid di football, Lorenzo Sanz. Attraverso Landonio, i quattrini della malavita organizzata hanno finanziato un valzer di quadri dalla Spagna all’Italia, con vendite fasulle ed expertise compiacenti destinate a far crescere sempre di più il valore delle opere. Poi la crisi economica ci ha messo lo zampino, le famiglie calibro 90 non sono rientrate dell’investimento, e chissà se adesso, in carcere, Landonio dorme sonni tranquilli.
Poi c’è l’altro pezzo dell’inchiesta, basata sulle confessioni del pentito Luigi Cicalese: che oltre ai traffici di Onorato e soci, ha messo a verbale la storia di delitti irrisolti.

L’uccisione di Moira Piazzolla, prima moglie di Cicalese, uccisa negli anni Novanta. O dell’avvocatessa Maria Spinella, assassinata a Segrate nell’ottobre 2006. «Sono stato io, tutte e due le volte», dice adesso il pentito. E indica nel suo compare Antonio Ausilio il complice del delitto.

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