Caro presidente Silvio Berlusconi, nel nostro incontro privato a Roma lo scorso 25 gennaio mi ha colpito il profondo senso di amarezza per l'ingratitudine che lei avverte poiché, a fronte di una grande generosità che ispira il suo rapporto con il prossimo specie se in difficoltà, si ritrova a essere trattato quasi fosse un nemico dell'umanità. Ebbene oggi lei, più di ogni altro leader europeo, per la sua dote di imprenditore di successo e per la specificità della realtà culturale, sociale ed economica degli italiani, può riscattarsi a testa alta ed essere annoverato tra i grandi della Storia promuovendo il «Piano Berlusconi per lo sviluppo umano e la pace tra i popoli del Mediterraneo».
La tragedia umana che si sta consumando sull'altra sponda del Mediterraneo costituisce indubbiamente una catastrofe per quelle popolazioni in termini di vittime e di distruzioni. Al tempo stesso, piaccia o no, dobbiamo ammettere che è anche una nostra sconfitta per esserci fin qui limitati a considerare la dimensione materiale delle relazioni bilaterali e multilaterali senza curarci della dimensione «spirituale», ovvero del rispetto dei diritti fondamentali della persona che sono l'essenza della nostra comune umanità, della condivisione dei valori che sono alla base della democrazia sostanziale che non si esaurisce nel processo elettorale, dell'affermazione dello stato di diritto che garantisce tutti senza alcuna discriminazione e vincola tutti senza alcuna eccezione.
Eppure la straordinarietà delle rivolte popolari che agitano gran parte dei Paesi a Sud e a Est del Mediterraneo, che hanno già portato all'allontanamento dal potere dei capi di Stato in Tunisia e in Egitto e stanno facendo vacillare la tirannia di Gheddafi che sta perpetrando un genocidio ed è già stato denunciato dall'Onu per crimini contro l'umanità, offrono una rara opportunità all'Europa di voltare pagina se riuscirà a leggere correttamente l'evolversi della situazione senza scadere in infondati parallelismi con il nostro 1989 obnubilati dal fascino dello spontaneismo della piazza, a valutare criticamente il nostro passato che ci ha visto ahimè complici dei dittatori pur di aver garantiti il petrolio e il gas, i fondi sovrani e l'accesso ai loro allettanti mercati, ad assumere delle scelte sagge e lungimiranti che salvaguardino i nostri legittimi interessi nel medio e lungo termine in un contesto di condivisione dello sviluppo umano, della giustizia sociale, dello stato di diritto, della democrazia sostanziale e della pace tra i popoli del Mediterraneo.
Ebbene affinché questa prospettiva si traduca in realtà è necessario conseguire tre obiettivi:
1)Risolvere alla radice la piaga (...)
(...) della sofferenza economica favorendo l'avvento del ceto medio per colmare il divario tra una casta che monopolizza la ricchezza e una maggioranza fin troppo povera, incentivando la crescita dei micro, piccoli e medi imprenditori avvantaggiando principalmente i giovani che mediamente costituiscono tra il 60 e il 70 per cento delle popolazioni a Sud e a Est del Mediterraneo.
2)Affermare una concezione sostanziale della democrazia che si fonda sulla condivisione dei valori non negoziabili della sacralità della vita di tutti, della centralità della dignità della persona e del primato della libertà di scelta, compresa la libertà religiosa degli ebrei e dei cristiani e di conversione dei musulmani senza essere condannati a morte per apostasia. In particolare bisogna arginare l'ascesa al potere degli integralisti e degli estremisti islamici che praticano la dissimulazione per partecipare alle elezioni e, una volta egemonizzato il potere, uccideranno la democrazia sostanziale, imporranno la dittatura islamica e tenteranno di abbattere la nostra civiltà in crisi valoriale e identitaria perché ci vergogniamo delle nostre radici giudaico-cristiane e siamo sempre più succubi della dittatura del relativismo al punto che non sappiamo più chi siamo, raccordandosi con i pionieri del califfato islamico che sono già tra noi arroccati nelle moschee, nelle scuole coraniche, negli enti assistenziali e finanziari islamici, nei tribunali sharaitici che noi abbiamo concesso in ossequio all'ideologia dell'islamicamente corretto.
3)Accreditare il riconoscimento del diritto all'esistenza di Israele quale Stato del popolo ebraico come un principio non negoziabile, parte integrante e indissolubile dei rapporti bilaterali e multilaterali con l'Unione Europea. Dobbiamo porre fine all'ideologia dell'odio contro Israele e gli ebrei nell'interesse di tutti, perché da sempre viene strumentalizzata per perpetuare le dittature bellicose e aggressive, mantenere i popoli arabi e islamici in uno stato di sottomissione, bloccare la crescita economica e la giustizia sociale, negare la democrazia sostanziale e sabotare la pace tra i popoli.
Se siamo d'accordo su queste premesse, caro presidente Berlusconi, arriviamo al dunque. Diciamo subito che se non vuole ripetere l'insuccesso della Conferenza economica per il Medio Oriente e il Nordafrica avviata dagli Stati Uniti a Casablanca nel 1994 e sospesa a Doha nel 1997, del Partenariato euro-mediterraneo avviato a Barcellona nel 1995 e ormai lettera morta, dell'Unione per il Mediterraneo annunciata nel 2008 a Parigi e che non ha mai visto la luce; e se vuole andare oltre alle semplici dichiarazioni di buoni intenti come la «Banca per lo sviluppo del Mediterraneo» annunciata da Craxi nel 1990, di un «Piano Marshall» per i Territori palestinesi da lei annunciato nel 2009 e la promessa finora disattesa dei leader dei G-8 all'Aquila di donare 20 miliardi di dollari all'Africa entro il 2012, dobbiamo innanzitutto convincerci che l'investimento a favore dello sviluppo delle popolazioni e della pace nel Mediterraneo non è un'opera di beneficenza; al contrario corrisponde alla promozione dei nostri legittimi interessi economici nonché alla salvaguardia della sicurezza e della pace nostra e dei nostri figli. Anche in politica, quella degli statisti che hanno a cuore l'interesse della prossima generazione e non quella dei politicanti che si preoccupano solo della prossima elezione come sottolineò De Gasperi, vale la regola che prevenire è meglio che curare le conseguenze delle malattie.
Finora abbiamo collezionato errori su errori. Sbagliare è umano, perseverare sarebbe diabolico. Vorrebbe dire che ci vogliamo veramente del male. Non dobbiamo più occuparci solo della dimensione materiale dei rapporti bilaterali o multilaterali. Non possiamo pertanto assegnare a una banca il compito di promuovere lo sviluppo concepito solo in termini economici. Smettiamola di favorire solo i potentati economici interessati alle grandi opere dai discutibili benefici per la maggioranza della popolazione. Se ci vogliamo veramente bene e se vogliamo il bene dei nostri dirimpettai, mettiamoli nella condizione di essere loro i protagonisti della loro stessa emancipazione economica, diamo loro gli strumenti finanziari e formativi in un contesto politico e giuridico favorevole affinché da emarginati si trasformino in micro, piccoli e medi imprenditori. Facciamolo con la logica di chi è interessato a riscattare la loro dignità, aiutandoli affinché non debbano più chiederci aiuto. Prendiamo esempio dal Premio Nobel per la Pace Muhammad Yunus che concede il microcredito a chi non è in grado di dare garanzie bancarie scommettendo sulla sua umanità. Il 98% dei prestiti elargiti dalla sua Grameen Bank (Banca del villaggio) viene restituito e a beneficiarne sono, al 94%, donne giovani, analfabete e sottomesse. C'è una similitudine tra la realtà del Bangladesh, dove Yunus ha iniziato l'attività del microcredito, e quella di diversi Paesi della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo, considerando la percentuale dei giovani, della diffusione dell'analfabetismo e della condizione di sottomissione della donna.
Caro presidente Berlusconi, probabilmente è più fruttuoso sul piano dell'immagine e del riscontro immediato in termini di voti investire nella militarizzazione delle coste, nella costruzione di centri di accoglienza e centri di espulsione, nell'ampliamento delle carceri che ospitano per oltre il 30% stranieri nonostante siano circa il 5% della popolazione residente cavalcando londa pericolosa del razzismo. Ma lei ha unopportunità unica di fare un investimento di medio e lungo termine per essere ricordato nella Storia d'Italia come uno statista saggio e lungimirante, che ha scelto di agire anziché reagire, di prevenire anziché curare, per assumersi interamente la propria responsabilità anziché tramandare ai figli e ai nipoti un fardello insopportabile e ingestibile. Promuova la nascita di una Fondazione che operi sull'altra sponda del Mediterraneo attraverso lo strumento del microcredito, accompagnandolo con un percorso formativo che diffonda la cultura dei diritti fondamentali della persona, dei valori non negoziabili, della democrazia sostanziale, della pace tra i popoli. Favorisca l'accesso al microcredito ai giovani, soprattutto alle donne, che sono le più emarginate tra gli emarginati ma sono al tempo stesso la principale leva del cambiamento. Non dia l'immagine del colonizzatore ma bensì del sincero benefattore che si prodiga per il bene autentico del prossimo. Che tuttavia non corrisponde all'elemosina. La Grameen Bank esige la restituzione del credito elargito perché il vero obiettivo è formare delle persone responsabili capaci di ergersi a protagoniste della loro vita. L'economista sudafricana Dambisa Moyo ha denunciato il fiume di denaro che dalle tasche dei poveri dei Paesi ricchi vanno a finire nelle tasche dei ricchi dei Paesi poveri perché hanno alimentato i regimi africani dittatoriali e corrotti e hanno accreditato la cultura del parassitismo e della sottomissione tra i popoli. Ci insegna che gli africani più che di denaro hanno bisogno di formazione per riuscire ad essere pienamente se stessi a casa propria.
Questa è la soluzione da perseguire nel Mediterraneo. Dobbiamo investire in quelle terre e a beneficio di quelle popolazioni perché dobbiamo favorire il loro radicamento a casa loro. Non è nemmeno lontanamente immaginabile che l'Italia o anche l'Europa possano accogliere dall'oggi al domani 50mila o addirittura milioni di disperati in fuga dalla guerra, dalla miseria o dallingiustizia sociale. Non abbiamo altra scelta che assumere con grande serietà la responsabilità storica di promuovere lo sviluppo umano e la pace tra i popoli del Mediterraneo. Lo dobbiamo fare per noi e per loro. Lei, presidente Berlusconi, oggi ha questa opportunità unica e irripetibile. Rifletta attentamente, si affranchi dai lacci e lacciuoli del teatrino della politica, si elevi dalle miserie umane che ci appartengono ma che possiamo accantonare.
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