Più o meno come la pubblicità dei sofficini negli anni ’80: croccanti fuori e permalosi dentro. Tanto libertari sugli affari altrui, quanto bacchettoni sui propri. Da loro la satira è sempre di casa, sì: a patto che bussi al portone degli altri. Fateci caso: non è la prima volta che a sinistra vanno in cortocircuito sullo sfottò. Certo, Joe Violanti contro Michele Santoro ricorda tanto Davide contro Golia. Fa specie vedere l’anchorman campano che alla sera glorifica Vauro e la Guzzanti, e la mattina dopo minaccia querela contro un povero imitatore radiofonico: reo, al massimo, di riecheggiare troppo bene la calata meridionale. Eppure a Santoro tanto è bastato per tirar su la cornetta - come fanno i tanto vituperati censori della politica - e rimbrottare i datori di lavoro dell’ignobile guitto. Ma se questa è la logica, allora alla Guzzanti che le facciamo? Processo sommario? Inquisizione spagnola? Cento nerbate sulla schiena? Appesa a testa in giù a viale Mazzini?
La verità è che bisognerebbe studiarlo all’università, questo sdoppiamento di personalità dei santoni del libero pensiero, i recordman di citazioni dell’articolo 21 della Costituzione. Ventuno: come i secondi che impiegano a sguinzagliare gli avvocati, se ti azzardi a spernacchiarli. Anche Adriano Celentano, il guru del diritto allo sbeffeggio, ha querelato Chiambretti per un’imitazionuccia da quattro soldi. Ricordate? Il comico torinese si era permesso di ospitare in tv un sosia del molleggiato. Solita caricatura: ginocchia che piroettano e sopracciglio impazzito. Sketch innocuo per tutti, insomma, tranne che per Celentano, che trascinò in tribunale Chiambretti con insulti allegati: «Sei stupido e scorretto, inganni la gente, prendi uno che imita la mia voce e gli fai dire stronzate». Mica male, per il baluardo della libertà di parola (e anche di parolaccia). Mica male per uno che sulla tv pubblica si piccò d’insegnare il diritto di satira al Vaticano, al grido di «Anche Gesù era un comico». Alla fine per riportarlo all’ordine c’è voluta la condanna del giudice, il quale ha precisato l’ovvio: e cioè che «l’imitazione di Chiambretti, con il cognome errato e l’incoerenza grammaticale» si configurava chiaramente come «satirica». Traduciamo: «Caro Adriano, si vedeva lontano un miglio che era solo un’imitazione: altro che rock, il più lento sei tu».
Ma il più delle volte gira così. Appena rompi le scatole a casa loro, è come se scambiassero il dentifricio col peperoncino di Soverato: gli brucia da matti. Quando Luttazzi lo accusò d’aver saltato la naja, il superbuonista Fabio Fazio si mise a ringhiare come una tigre del Bengala. E a Valerio Staffelli armato di solo Tapiro d’oro, digrignò i denti: «Non vi autorizzo! È un’aggressione penosa!».
E pensare che per anni, a sinistra, si sono vantati d’essere campioni d’autoironia. Una volta, forse: adesso appena li tocchi mordono. C’è gente che ancora ride per i tre miliardi chiesti nel ’99 da D’Alema a Forattini a causa d’una vignetta. Quella che raffigurava il lìder Massimo seduto alla scrivania mentre sbianchetta il dossier Mitrokhin, ricordate? La storia si è chiusa con il seguente, tristissimo, scambio di battute. D’Alema: «Se Forattini mi garantisce l’intento satirico, ritiro la querela». E Forattini: «Te lo garantisco». Satira garantita, querela ritirata: Forattini divorzia da Repubblica, D’Alema divorzia dal buon senso. Ma insomma: c’è davvero bisogno di garantire che una vignetta è una vignetta? Che una burla è una burla?
Macché: da quell’orecchio non ci sentono. Prodi incluso. Tre anni fa mandò una denuncia a mezzo raccomandata contro un sito internet che lo dileggiava a colpi di caricature. Per esempio, c’è Bush che abbraccia Romano e gli dice: «Non dimentico mai una faccia, ma nel tuo caso farò un’eccezione». Prendiamo anche Veltroni: adesso ride e scherza con il sosia-Crozza e il «ma-anchismo», ma all’inizio era stato un trauma. Su internet si può vedere la reazione televisiva di Veltroni al primo impatto con la sua imitazione: aveva la fronte imperlata di sudore, gli occhi dell’incredibile Hulk, insomma ancora un secondo e scoppia. E infatti reagisce stizzito: «Se mi riconosco nell’imitazione? Ma manco per idea, ma lascia stare». Orpo, che carattere.
E che dire del manifesto, il foglio più libertario di tutti? Anni fa il direttore Valentino Parlato s’era imbufalito con Vauro per colpa d’un disegno contro la testata comparso sull’inserto satirico, Boxer, tanto da dichiarare: «L’inserto? Buttatelo via». Nel ’97 Vauro arrivano addirittura a censurarlo per una vignetta contro Cofferati.
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