Sardegna pittoresca? No, anche terra di vincenti

Non c’è solo Valerio Scanu, e neppure Elisabetta Canalis e Melissa Satta. La Sardegna pittoresca (vedi retro delle cartoline di 30 anni fa) che va dal vincitore di Sanremo alle veline amate da Bobo Vieri, arricchisce la collezione con due cognomi che più sardi non si può: Sirigu e Cossu. Sardi sono! Direbbe Benitu Urgu. Essendo uno di Siniscola, Sardegna orientale, ai piedi delle montagne di Nuoro e l’altro di Cagliari, estremo sud dell’isola, rischiano perfino di non capirsi nel dialetto: uno parla con le doppie (il «cagliarrittano»), l’altro con il mugugno stretto. Ma questa è la Sardegna del pallone. Se aggiungete il terzo incomodo, ovvero Federico Marchetti da Bassano del Grappa, portiere di belle speranze che sta facendo carriera a Cagliari, ecco che la Sardegna del pallone non è più tanto pittoresca. Ma d’azzurro vestita. Quanto il suo cielo e il suo mare.
La Sardegna va nella nazionale del pallone, facendosi largo come mai le era capitato. E che Sirigu vinca la maglia da portiere di riserva e Cossu quella da soldatino multiuso del centrocampo, è un’evoluzione non solo del mondo del pallone, ma pure di quel mondo sardo che una volta ci presentava l’elegante e raffinata Marisa Sannia al festival di Sanremo e Mario Tiddia, terzino titolare nel primo anno di serie A del Cagliari, diretto da Sandokan Silvestri. E oggi è arrivato a Marco Carta, un altro nato nei talent show che ha vinto a Sanremo, e Salvatore Sirigu, emigrato a Palermo ma che alza le mani e dice: «Non sono l’erede di Buffon». Fin a riproporre il sardo doc in Andrea Cossu, che racconta di quando il Cagliari lo scartò. «Perché non avevo il fisico». E, invece, oggi è il portabandiera del suo calcio d’autore.
Chi pensa a Giggirrivva fa cult con un sardo d’adozione, non proprio un purosangue. Chi affida il ricordo a Gianfranco Zola ripesca l’artista per tutte le nazioni, non a caso The Sun lo ha eletto fra i dieci migliori artisti del pallone nell’ultimo decennio inglese. Zola è un sardo tipico per altezza (parliamo dei sardi di terza generazione, perché gli originali erano fustoni) riservatezza, tignosità, zona di provenienza (le montagne di Oliena, nel cuore della Barbagia). Ma in nazionale ha avuto alterne fortune (solo 35 partite), è passato alla storia per un gol segnato all’Inghilterra a Wembley.
Il sardo d’azzurro vestito non è specie diffusa: Gianfranco Matteoli, che all’Inter fece fuori Hansi Mueller, ne ha appena nasato il profumo (6 partite). Pietro Paolo Virdis ha il cruccio di non aver mai giocato con la nazionale A, solo con la under e l’Olimpica nella penosa avventura ai giochi di Seul. E così Rosario Rampanti da Carbonia, aletta tutto pepe cresciuta nelle giovanili del Torino, come da codice dell’emigrante sardo.
A proposito di Torino, Antonello Cuccureddu, terzino della Juve degli scudetti, giocò solo 13 partite in azzurro, tutte sotto la gestione di Bearzot, comprese quelle del mondiale in Argentina.

Cuccureddu è di Alghero, Sardegna nel segno del turismo, laddove si parla catalano. Un’altra storia, anche se nel calcio ha appena perso il posto di allenatore. Ma questa è solo una cartolina da pallone pittoresco. Altro che Sardegna.

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