Pier Augusto Stagi
Paolo Savoldelli, l'uomo più schivo e silenzioso del ciclismo italiano, riparte per una nuova avventura con un'ambizione in più: vincere per la terza volta il Giro. Savoldelli, bergamasco doc, con la passione del mattone e del calcestruzzo, è un condensato di calma, tranquillità e tenacia. Al Giro della Romandia ha fatto vedere di essere sulla strada giusta: ha vinto il cronoprologo e poi si è dovuto arrendere a un virus maligno che l'ha costretto al ritiro.
«Ho temuto il peggio, per due giorni sono stato malissimo, ho avuto grandi problemi intestinali poi, fortunatamente, come sono venuti sono andati via. Spero che questo problema non abbia intaccato la mia preparazione. Certo il percorso per me è forse un po' troppo duro, ma mi sento pronto».
Le piace l'idea di partire sempre con pochi riflettori addosso?
«Ci sono abituato, ormai non ci bado nemmeno più. Basso e Simoni sono i grandi favoriti. Cunego e Di Luca altri due clienti molto scomodi. Poi Rujano e qualche buon straniero, io spero di essere lì, a giocarmela».
Le dispiace che i giornali dedichino più attenzioni ad altri corridori?
«No, non mi interessa più di tanto. Non sono uno da copertina o un corridore da dichiarazioni ad effetto: sono un tipo di poche parole. Se cercate le bombe che infiammano la vigilia è meglio che vi rivolgiate ad altri...».
Che cosa la preoccupa di più di questo Giro?
«Tutte le montagne che dovremo affrontare. Per vincere dovrò essere ancora più forte dello scorso anno».
Quali saranno i punti chiave?
«La cronosquadre e la crono individuale sono due snodi importanti, nei quali io posso dire la mia. Poi dovrò fare i conti con le montagne: Plan de Corones, San Pellegrino e Aprica su tutte. Fortunatamente dopo le salite ci sono anche le discese. Se la condizione mi assiste, sono convinto di poter fare un grande Giro. Io mi difendo un po' dappertutto: questo è il mio limite, questa può essere la mia forza».
Se non fosse diventato un corridore professionista, cosa le sarebbe piaciuto fare da grande?
«L'imprenditore edile. Già un po lo faccio».
Non c'è stato nulla che l'ha cambiata in questi anni?
«Gli incidenti mi hanno cambiato molto, anche nel carattere. Ho rischiato anche di cambiare la faccia: a forza di frontali e musate».
Il momento più bello da corridore?
«Quando ho finito il Tour de France nel '96 da neo professionista. E poi la mia prima vittoria al Giro del Trentino. E poi il Giro dell'anno scorso: grande, grandissima vittoria quella».
E da uomo?
«Quando è nata Marika, mia figlia».
A proposito, come va con Simonetta e Marika?
«Benissimo, siamo una bella famiglia che tra poco crescerà: verso fine giugno nascerà Giulia. Sarò beato fra le donne».
Che cosa pensa di Basso?
«È il futuro e il presente del ciclismo italiano per le corse a tappe. È bravo perché si misura su più corse».
Simoni?
«Per il Giro è il più forte».
Di Luca?
«Un corridore di carattere, non ha paura di niente».
Cunego?
«È il ciclista che conosco meno di tutti, ma ha molta classe».
Sente ancora Lance Armstrong?
«L'ho visto al Giro di California in ritiro, sta bene, ha sempre da fare mille cose, per certi versi lui corre ancora».
Ullrich le piace?
«Come persona è delizioso. Come corridore potrebbe fare molto di più».
Si dice: non esiste più la cultura della sconfitta. È vero?
«Non lo so. Io ho più perso che vinto e me ne sono fatto una ragione».
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