Il sax leggendario di un genio chiamato Shorter

Wayne Shorter è uno che mette d’accordo tutti. Per gli appassionati di rock e percorsi trasversali è il simbolo dell’infiammato sax soprano che animava il suono dei Weather Report. Per i cultori del jazz invece è l’indiscusso maestro dell’ultima grande scuola di sopranisti (ma lui suona anche l’alto e il lyricon, sax computerizzato e più acuto del soprano). Alla fine piace a tutti per la sua creatività, per il modo di unire il legame con la tradizione e la voglia di sperimentare. E non può essere altrimenti per un artista che si è forgiato - dal 1964 al 1970 - alla corte del rivoluzionario Miles Davis elettrico. Un successo travolgente quello del «Miles elettrico», tanto travolgente quanto imitatissimo ma inimitabile, che fece esplodere (con effetti spesso nefasti) la mania della cosiddetta fusion. Quando Davis se ne andò, Franco Fayenz scrisse: «Si accorgeranno adesso del buco nero che lascerà la fine di Miles nel jazz che continua a soffrire di stasi creativa. Alludo a coloro che non hanno mai accettato la musica stupenda che ha profuso in certi periodi perché non corrispondeva al vecchio concetto di vero jazz».
Shorter è uno di quelli che hanno portato avanti la missione di Davis («Miles + Coltrane = Shorter», ha scritto con formula matematica Joachim Ernst Berendt) mescolandola con quella di John Coltrane e del favoloso batterista Art Blakey. «La batteria di Blakey mi ha insegnato a suonare con potenza - disse Shorter l’ultima volta che lo intervistammo -; Coltrane a guardarmi dentro e a mettere l’anima a servizio del suono; Miles mi ha insegnato a vivere le emozioni e a suonare come se stessi dipingendo un quadro, calibrando i sentimenti». Shorter è stato maestro nel dribblare le esigenze commerciali del jazz rock per poi riprendere la strada del ricco linguaggio armonico, della ricerca, della ricchezza ritmico-armonica e di fraseggio del jazz. Tutti i grandi critici concordano che, accanto alla Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin, i Weather Report siano stati il gruppo più influente della musica fusion. Ma Wayne Shorter ha lasciato il segno già prima anche come autore e compositore (ad esempio nei Jazz Messengers di Art Blakey) e poi alla guida (dopo lo scioglimento dei Weather Report nell’86) dei suoi gruppi. Da qualche anno Shorter, nato a Newark nel 1933, sta vivendo una seconda giovinezza. Nel ’96 la crisi per la perdita della moglie e della nipote (un maledetto incidente aereo) poi il ritorno nel 2002 con Footprints Live inciso dal vivo e col cd Alegria, e poi ancora con la ripresa dei concerti in tutto il mondo in un magico quartetto con gli assi (che lo accompagnavano in Footprints) Danilo Perez al pianoforte, John Patitucci al contrabbasso, Brian Blade alla batteria), magico quartetto che potete incontrare domani sera agli Arcimboldi (ore 21.30, 02-641142200) - unica data italiana dell’estate - per la rassegna «Il ritmo delle città». «Ho passato anni terribili e mi hanno lasciato dentro una gran voglia di comunicare - disse in occasione del suo ritorno -.

Il blues è dolore e il jazz è umanità. Il suono di tutti e di nessuno, un suono che non passa né in tv nè sui giornali. È la musica dei neri che hanno sofferto e di chi vuole difendersi dalle false illusioni della vita, un po’ come il cane di Pavlov».

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