Sbornia da mezzo miliardo ma ora Milano offra di più

Le critiche piovute dalle pagine dell’Herald Tribune secondo cui, Salone o non Salone, Milano resta una città fondamentalmente «fredda, boriosa e noiosa», sembrano stridere dopo queste giornate stravissute all’ombra del design. Sì perchè, mai come in quella che qualcuno ha giustamente ribattezzato «la settimana santa più laica del mondo», Milano è parsa viva, smagliante e internazionale. Forse anche troppo per il carattere dei lombardi, abituati a correre, a produrre, a consumare, ma poco inclini alla caciara e alle folle sui marciapiedi e nei ristoranti. Ma la grande festa lascia vivo il sogno di una Manhattan meneghina, per una settimana ombelico del mondo, lieta di spalancare e addobbare antri e cortili - spesso la parte più bella della città - disponibile e contenta di offrire gratis (udite udite) aperitivi e tartine a una folla di stranieri con belle facce e buona cultura del mondo. Altra cosa, diciamolo, rispetto a certi codazzi che fan da contorno alle settimane del fashion.
Trionfo doveva essere e trionfo è stato e, in attesa di un bilancio definitivo, protagonisti e comparse si fregano le mani. Non solo gli operatori dell’industria del mobile che oggi, con i suoi 33 miliardi di fatturato, è davvero un settore trainante dell’economia italiana. L’indotto cittadino della «settimana santa» avrebbe sfiorato quest’anno il mezzo miliardo di euro di cui poco meno della metà (227 milioni, secondo la Camera di commercio) è finita nelle tasche degli albergatori e il resto a una Milano festosamente invasa da quasi 350mila visitatori di ogni latitudine. A chi è andata la rimanenza del malloppo? Prevalentemente a ristoratori (66,2 milioni), taxi e auto a noleggio (17,4 milioni), bar e locali per colazioni e aperitivi (11,8 milioni) e ovviamente ai privati che, per rifarsi un po’ le tasche dal carovita meneghino, si sono affittati profumatamente anche i sottoscala.
Tutti felici e contenti, dunque? Fino a un certo punto, perchè proprio al suo apice massimo (quest’anno al Salone i designer erano praticamente radoppiati), l’evento dell’anno ha messo in evidenza i limiti della città a contenere e a gestire un tale afflusso di pubblico, soprattutto in due fattori chiave: trasporti e accomodation. Malgrado gli sforzi dichiarati da Atm e Comune sul rinforzo di mezzi, navette e bike sharing, non era certo un bello spettacolo vedere nella notte bianca di Brera code interminabili alle deserte fermate dei taxi. E non si capisce neppure perchè, per pochissimi giorni all’anno, non si possa prolungare l’orario della metropolitana fino a tarda notte. Aumentare i turni costa un po’, è vero, ma i 300mila che portano a Milano mezzo miliardo di euro meriteranno pure qualcosa in più. Anche perchè l’Expo è alle porte e non durerà solo una settimana. Buona idea, invece, quella di puntare sul servizio di bici gialle, raddoppiate nelle zone calde e in tutta la cerchia dei Bastioni, a cui si è anche aggiunto il servizio gratuito delle due ruote «fucsia» del «Free bike sharing» di Ciclo e Riciclo che ha recuperato vecchie biciclette rotte e abbandonate e le ha messe a disposizione degli stranieri. Il punto è che gli stranieri sono avvezzi alle piste ciclabili, e pedalare sul pavè è ancora più scomodo e pericoloso per chi non è abituato.

L’ultima nota dolente riguarda, ancora una volta, la scarsa ricettività alberghiera e la quasi assenza di ostelli per un evento di questa portata che, oltretutto, favorisce speculazioni che certo non favoriscono l’immagine della nostra città: hotel con tariffe ritoccate in modo spregiudicato e stanze private a 250 euro a notte. Se gli europei lo facessero con noi ci arrabbieremmo, no?

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