Scajola: dissennato il no al nucleare ora fermiamo i prezzi dell’energia

«Nel breve bisogna stabilizzare le tariffe e sviluppare la tecnologia atomica: alle nostre aziende l’elettricità costa il 30% più della media Ue»

Scajola: dissennato il no al nucleare ora fermiamo i prezzi dell’energia

Nicola Porro

da Milano

Da Alitalia a Parmalat, dagli incentivi alle piccole imprese al declino che non c'è, Claudio Scajola traccia un bilancio dei suoi primi mesi alla guida del ministero delle Attività produttive. E non risparmia qualche critica al capo degli industriali («Il governo ha fatto molto per le imprese. Se ne accorgono gli imprenditori, pare strano che non l’abbia colto Montezemolo») e riserva qualche frecciatina ai gruppi ex monopolisti.
«Una certa perdita di competitività - ammette subito il ministro - del nostro apparato produttivo impone al sistema Italia una politica industriale che riesca a contrastare le criticità legate a un modello di specializzazione settoriale troppo esposto alla concorrenza e ad una dimensione aziendale troppo piccola per cogliere le opportunità del progresso tecnologico e della globalizzazione dei mercati. A questo serve il piano triennale degli obiettivi del ministero delle Attività produttive che ho presentato il due dicembre in Consiglio dei ministri».
Ma questo vuole dire intervento dello Stato... magari sul modello francese di difesa dei campioni nazionali.
«Ricominciare a parlare di politica industriale non significa ordinare alle aziende cosa devono fare o non fare ma, piuttosto, delineare gli obiettivi generali della produzione industriale. Se è vero che non c'è più spazio per azioni dirigistiche, di sicuro però emerge la necessità di un orientamento verso obiettivi condivisi di cui la politica si deve rendere interprete».
Il modello francese sull'energia, invece, costi bassi e nucleare, sembra funzionare...
«A causa della scelta di venti anni fa, una scelta che io considero dissennata, di abbandonare il nucleare nella produzione di energia noi continuiamo a pagare amare conseguenze. Infatti, più di altri Paesi, l'Italia sta soffrendo un'elevata dipendenza dal petrolio e dai suoi derivati. I prezzi dell'energia elettrica per le imprese italiane sono più alti del 30% della media europea...».
Che cosa fare ora in Italia su questo fronte?
«Nel breve è necessario stabilizzare tariffe e prezzi. Si può pensare a forme di segmentazione del mercato che consentano alle imprese ad alta intensità energetica l'accesso alle forniture di energia elettrica e di gas naturale a condizioni di prezzo più favorevoli. Lo sviluppo di tecnologie nucleari è invece un elemento importante per la politica energetica di lungo periodo: dobbiamo investire per recuperare il gap accumulato. Senza prese di posizione demagogiche e passatiste, di cui si è fatto interprete Prodi in questi giorni. Questo non significa non investire nelle energie alternative, come solare ed eolico».
Nel frattempo ci si oppone a tutto: rigassificatori, nucleare, Tav, termovalorizzatori: Che cosa succede?
«Una certa sinistra si oppone al processo di modernizzazione e ha sostituito la lotta di classe con un ribellismo puerile e venato di nostalgia del passato. Purtroppo queste frange passatiste influenzano gran parte della sinistra. Pensate quanto sono diverse la determinazione sul nucleare di Blair e il silenzio imbarazzato di Romano Prodi sulla modernizzazione del paese. E poi, mi lasci sconfinare un attimo dall'economia, che spettacolo vergognoso quei giovani col passamontagna che urlano ai nostri carabinieri: Nassirya, Nassirya...».
Eppure gli industriali sembrano molto critici...
«Stiamo lavorando sodo, soprattutto sul terreno delle riforme strutturali, basti pensare al mercato del lavoro, alle grandi opere, alla scuola. I risultati arriveranno e con essi anche i consensi. Anche da parte di chi, per via di un certo strabismo, continua a chiedere le riforme e poi sembra simpatizzare con chi non è in grado di farle».
Si riferisce forse a Montezemolo che recentemente ha detto che il governo non incoraggia le imprese?
«Dico solo che in situazioni difficili abbiamo fatto molto per le imprese, se ne accorgono gli imprenditori, se ne accorgerà anche Montezemolo».
Liberalizzazioni, si poteva fare di più?
«Siamo convinti che sia necessario proseguire con decisione nell'azione di liberalizzazione. Certo, la massima apertura alla concorrenza non è di per sé garanzia di efficienza del mercato, perché posizioni dominanti, monopoli, oligopoli, barriere all'accesso possono distorcere il funzionamento del mercato. Chi è esposto di più a questi fenomeni è senza dubbio la parte più debole, il cittadino, in quanto consumatore o utente».
Recentemente ci sono state prese di posizione, tra l’altro di Prodi, contro le nostalgie monopoliste di alcuni grandi gruppi...
«Non vi è dubbio, per essere chiari fino in fondo, che i settori in cui operano Eni, Enel e Tlecom, si possono aprire a una maggiore concorrenza».
Scenderete al 5% in Snam Rete Gas?
«Per Snam Rete Gas si sta ragionando sullo stesso percorso seguito per un'altra grande società di rete energetica, Terna. Sto approfondendo il dossier per valutare tutti i profili tecnici e i tempi dell'operazione».
Made in Italy. Come difenderlo?
«Passando all'attacco. Prima di tutto, e su questo voglio essere chiaro per evitare equivoci e strumentalizzazioni, dobbiamo difendere e rafforzare il Made in Italy, ad esempio con una sempre più intensa lotta alla contraffazione. Ma dobbiamo anche sforzarci di immaginare un'Italia protagonista sul mercato globale: un'Italia in cui il concetto prioritario di Made in Italy venga integrato con quello di Italian concept, un nuovo marchio che riesca a incorporare il valore aggiunto italiano - la creatività, lo stile e la qualità che il mercato internazionale ci riconosce - anche in produzioni che comunque andrebbero lontane dal nostro territorio».
Crede nelle barriere e quote, ad esempio il tessile?
«Il confronto globale non si risolve con le quote e la reintroduzione di misure protezionistiche, inconciliabili con il libero mercato, che però deve funzionare secondo regole ben precise e da tutti rispettate. Come nel recente caso della vicenda del tessile con la Cina. In quell'occasione ho sollecitato Mandelson alla puntuale applicazione delle misure di salvaguardia».
Sono i piccoli a soffrire di più?
«La duttilità e creatività delle Pmi ha consentito di contenere gli effetti della crisi e creare le condizioni per il rilancio. A riprova di questo alcuni dati della Confartigianato confermano che le piccole aziende che hanno scommesso sulla qualità hanno mantenuto intatta la loro capacità competitiva e realizzato risultati positivi. Proprio perché siamo sempre stati convinti di questo, noi abbiamo invertito una tradizione di scarsa attenzione verso le ragioni delle piccole imprese. Dobbiamo però fare di più, accelerando soprattutto sul terreno dell'eliminazione dei vincoli burocratici che pesano sulle piccole molto più che sulle grandi imprese».
Quali incentivi servono?
«Uno dei miei primi atti come ministro è stato quello di riformare la legge 488. La nuova filosofia degli incentivi, che supera la vecchia logica degli interventi a pioggia, è orientata ad una maggiore selettività. Questa riforma punta a corresponsabilizzare sia il sistema bancario sia chi vuole investire come privato».
È preoccupato per Alitalia?
«Siamo fiduciosi in Cimoli. Credo ancora nella possibilità di tirare fuori l'azienda dalla crisi: la compagnia è in una fase difficile, resa ancora più complessa dagli alti prezzi del petrolio che hanno modificato ulteriormente le prospettive».
Parmalat, la Marzano è in discussione per profili di costituzionalità...
«Ovviamente pieno rispetto il parere dei giudici i quali, in presenza di una legge per vari aspetti innovativi, hanno ritenuto di richiedere il vaglio della Corte costituzionale. Bisogna però ricordare che questa legge è stata approvata dal governo e dal Parlamento proprio per apprestare misure urgenti per la ristrutturazione industriale di grandi imprese in stato di insolvenza Sul caso Parmalat il governo è intervenuto tempestivamente per risolvere la crisi con strumenti che si sono rivelati utili anche nella gestione della crisi di altre imprese e che ora vengono ripresi in altri paesi europei proprio per la loro efficacia».
Che cosa pensa del lavoro di Bondi?
«Enrico Bondi ha preso quasi due anni fa un'azienda che era al fallimento ed è riuscito a non far perdere neanche un posto di lavoro. Ha compiuto "miracoli" sfruttando al meglio gli strumenti normativi che avevamo adottato: la sua azione nel caso Parmalat è stata e continuerà a essere fondamentale per il risanamento dell'azienda».
Vede un'Italia in declino?
«Assolutamente no. Al contrario. I dati positivi sul Pil, sulla produzione industriale, sugli ordinativi, sulle esportazioni e i giudizi favorevoli del Fondo monetario internazionale e dell'Ocse lo dimostrano.

La fase bassa della congiuntura sembra essere alle spalle. Una conferma di questa inversione di tendenza viene dal Censis che mentre tre anni fa parlava di Paese con le pile scariche oggi vede un'Italia percorsa da schegge di energia e di vitalità».

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