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Scajola ora è indagato per la casa al Colosseo

La Procura di Roma apre un fascicolo per finanziamento illecito. I Pm si aggrappano a due fatture del 2002 e a una cena legata a Forza Italia. L’ex ministro, che ha sempre smentito le ricostruzioni degli inquirenti, è amareggiato: "Tutto verrà chiarito"

Scajola ora è indagato per la casa al Colosseo

Roma L’ex ministro Claudio Scajola è indagato dalla procura di Roma per l’acquisto dell’appartamento di via del Fagutale, vista Colosseo. L’ipotesi di reato, a cui stanno lavorando il procuratore Ferrara e l’aggiunto Caperna dopo il trasferimento degli atti da Perugia alla Capitale, è di violazione della legge sul finanziamento illecito dei partiti politici. Il capitolo dato frettolosamente per archiviato da «Sciaboletta» si riapre, dunque, a sorpresa.

Le indagini a carico dell’ex responsabile dello Sviluppo economico vedono inizialmente la luce nel capoluogo umbro sulla scorta dei nominativi della «lista-Anemone», l’elenco di favori elargiti dall’imprenditore arrestato nell’inchiesta sugli appalti del G8. Successivamente approdano a piazzale Clodio dove i colleghi romani approfondiscono le investigazioni dei carabinieri del Ros e della Guardia di Finanza sulle modalità d’acquisto dell’appartamento, e non solo. Gli ultimi files estratti dai pc di Alida Lucci, segretaria di Anemone, portano a un’accelerazione dell’inchiesta. Coprono un periodo già prescritto o prossimo alla prescrizione (da giugno 2001 al 2004 con l’acquisto dell’appartamento) ma tirano dentro anche un «contributo» più recente, del 23 febbraio 2006, nell’ordine di 4mila euro per «cena Forza Italia» a cui si sospetta possa aver avuto interesse l’ex ministro. A convincere i pm che Scajola fosse ben consapevole dell’intervento economico-immobiliare di Anemone, oltre ai 900mila euro cash vi sono altri indizi rintracciati sempre per via informatica. In un documento word intitolato «anno 2004» spunta l’indicazione che il 19 maggio sarebbe stato Anemone, e non Scajola, a pagare l’agenzia immobiliare e anche il «compromesso» della casa al Colosseo il cui rogito porta la data del 6 luglio 2004: «Compromesso (200)+Agenzia (30) Scaj 230.000». E ancora. Al giorno 25 maggio è scritto «terra x seg-Scaj 83,20 euro», al 5 agosto «elettr.Morlacco Ft 12962 x Scaj a Vince 147,60 euro», al 21 ottobre «c/c via del Fagutale Rimb a Maria Corse 168.000 euro», al 27 aprile 2005 «a Roby C x trasformatore via Fagutale 69euro».

L’esito dei riscontri sulle spese per i lavori di ristrutturazione è un altro capitolo delicato: per il pagamento il Ros e la Gdf tirano in ballo la società «Medea» di Anemone che avrebbe poi fatturato a fronte di un appalto a una caserma.

Scajola, va detto, ha sempre e costantemente smentito queste ricostruzioni. L’immobile dei misteri, da poco rimesso in vendita, secondo l’accusa sarebbe stato pagato in parte dall’ex ministro e in altra parte con soldi riconducibili alla «cricca» e, in particolare, per il tramite dell’architetto Zampolini, da Diego Anemone già indagato dalla procura umbra per associazione per delinquere. Scajola si è sempre difeso sostenendo di aver acquistato dalle sorelle Beatrice e Barbara Papa la casa di via del Fagutale nel 2004 grazie a un mutuo di 610mila euro. Gli inquirenti la pensano diversamente allorché fanno presente che, dal conto corrente di Zampolini, nei giorni della firma del rogito, sono partiti 80 assegni circolari, per un valore di 900mila euro, a favore proprio delle due donne. Soldi di cui Scajola, sempre a sentire i pm, beneficia direttamente visto che il prezzo reale dell’appartamento viene calcolato al «doppio» di quello dichiarato dall’ex ministro, che da par suo, con una perizia immobiliare, ha dichiarato invece «congrua» la cifra in relazione al valore (all’epoca) dell’appartamento. Gli ottanta assegni circolari - è sempre stata la tesi del deputato Pdl - vengono girati alle sorelle Papa «a mia insaputa». Per circa 18 mesi, anche dopo aver dato le dimissioni, Scajola viene sputtanato a mezzo stampa e mai iscritto nel registro degli indagati (a Perugia) anche perché chi indaga non riesce a provare alcun nesso di causa-effetto di natura penale a suo carico. La musica, però, cambia (ma non troppo) quando i magistrati scoprono che nell’aprile e nel giugno del 2002 le società del gruppo Anemone hanno lavorato per il Viminale (per l’installazione di alcuni condizionatori) allora retto proprio dal politico genovese. Agli atti finiscono due fatture, che sembrano provare tutto ma che in realtà non provano niente. Rintracciato in Grecia dal Giornale, Scajola si dice sorpreso e amareggiato: «Un’ora fa mi hanno detto che sarei indagato a Roma quando dopo quasi due anni di indagini Perugia non ha mai ritenuto di iscrivermi Sono convinto, convintissimo, che tutto verrà chiarito. Non sono un vate, non so cosa possa aver convinto i pm romani.

Non sono mai stato interrogato, non capisco proprio».

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