La scalata truccata a Bnl: «Era Fazio il regista, per lui tre anni e 6 mesi»

Era Banca d’Italia il «motore immobile» della scalata truccata a Bnl. Luigi Orsi, pm del processo in corso a Milano, ieri ha picchiato duro contro via Nazionale. E nella giornata dedicata alle richieste di pena (le accuse sono aggiottaggio, insider trading e ostacolo all’attività di vigilanza) nel mirino è finito soprattutto l’allora governatore Antonio Fazio. Era lui, ha detto il magistrato, il «direttore d’orchestra», il «regista» dell’operazione. Però, ha aggiunto, «è l’unico dei protagonisti che ha perso il posto e ha avuto il coraggio di venire in aula a riaffermare l’ideologia che lo aveva pervaso, improntata a una visione medioevale della vigilanza». Risultato: merita le attenuanti e una condanna a 3 anni, 6 mesi e 700mila euro di multa.
Nessuna scusa, invece, per Giovanni Consorte, numero uno di Unipol (la richiesta è di 4 anni, sette mesi e un milione di ammenda) e per un altro protagonista d’eccezione della vicenda, il costruttore e finanziere Francesco Gaetano Caltagirone, secondo Orsi «uno dei leader» del gruppo, incaricato di tenere a bada «ragazzi scalmanati come Ricucci che volevano fare soldi» (la richiesta è di 4 anni di reclusione).
Sono questi i più in vista tra i 21 imputati del processo che ripercorre le vicende dell’estate del 2005, quando il cosiddetto «contropatto» cercò di opporsi alla conquista di Bnl da parte degli spagnoli del Bbva. Secondo l’accusa Unipol acquistò di nascosto, e insieme ad altre quattro banche, oltre il 24% del capitale di Bnl, raggiungendo insieme a Caltagirone, Ricucci ed altri, una quota superiore al 50%. Per i banchieri che parteciparono all’operazione è stata chiesta una condanna a 3 anni di reclusione: si tratta di Giovanni Berneschi, presidente di Carige, Divo Gronchi e Giovanni Zonin (Popolare di Vicenza) e Guido Leoni (Popolare dell’Emilia Romagna) mentre per Francesco Frasca, allora capo della Vigilanza di Bankitalia, sono stati chiesti 3 anni e 4 mesi.
Solo in quattro casi Orsi si è pronunciato per l’assoluzione: tra i «discolpati» ci sono Emilio Gnutti, alfiere della «razza padana», e Pierluigi Stefanini, l’uomo che gestiva la finanziaria delle Lega delle cooperative controllante di Unipol. Uscito di scena qualche mese fa è invece Gianpiero Fiorani, numero uno della ex Popolare di Lodi, che ha patteggiato sei mesi di carcere, poi trasformati un una pena pecuniaria.
Accomunati a Consorte (solo la richiesta di pena è stata più bassa, 4 anni e 4 mesi), sono i suoi due bracci destri di allora, Ivano Sacchetti e Carlo Cimbri. Quest’ultimo, con l’incarico di amministratore delegato, è ancora oggi ai vertici della compagnia («non solo non ha perso il posto ma lo hanno promosso», ha detto Orsi).
Con l’udienza di ieri il carico di potenziali condanne a carico di Fazio si fa più pesante. Alla fine di febbraio i pubblici ministeri che procedono per la vicenda gemella, quella di Antonveneta, l’altra scalata che avrebbe potuto cambiare il corso della finanza italiana, avevano chiesto per lui una condanna a tre anni. Senza dimenticare che di fronte al tribunale di Roma è ancora pendente una inchiesta per reati collegati al procedimento Bnl.


Ma se Fazio ha abbandonato ogni incarico, così non è per Caltagirone, che, anzi, nel periodo trascorso dalla battaglia per l’italianità delle banche, ha consolidato il suo ruolo centrale nei salotti buoni della finanza tricolore. Oggi è presente con un ruolo di rilievo in due snodi fondamentali come Monte dei Paschi e Generali: nell’un caso e nell’altro è tra i maggiori azionisti con il ruolo di vice-presidente.

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