A vederlo dalle terrazze della baia del Carpino, una delle rare zone turistiche salvatesi dallo scempio edilizio a cui è stata abbandonata la cosiddetta Riviera dei cedri, l'ospedale di Scalea mette quasi soggezione. L'imponente facciata che si erge sulla collina denominata Petrosa, con le tre file di finestroni che guardano la costa dall'alto, sembra lontana anni luce dall'emergenza malasanità di cui è affetta la Calabria, ma pare invece edificata apposta per scimmiottare quel Sud che vorrebbe voltare pagina. E invece basta avvicinarsi qualche centinaio di metri per rendersi conto che dietro quei finestroni mezzi rotti non può esserci nulla. O meglio, non può esserci mai stato nulla. E infatti digitando il sito internet del municipio calabrese, alla voce sanità compare solo qualche farmacia, e due ospedali sì, ma appartenenti ai comuni di Praia e Cetraro, altre due poco ridenti località costiere a una quindicina di chilometri da Scalea. Quindici chilometri non sarebbero gran cosa, se non fosse che d'estate, quando gli abitanti del paese da 10mila passano a 150mila per diventare 700mila nel raggio dei 50 chilometri che congiungono Cetraro a Tortora, un fiume di macchine e scooter strombazzanti li rendono interminabili. Lo scorso agosto un'ambulanza impiegò quasi un'ora per soccorrere un ragazzo vittima di un incidente in moto sul litorale di Scalea. Arrivò troppo tardi. Qualche giorno dopo, la fidanzata scrisse una lettera all'assessore alla sanità Doris Lo Moro per chiedere che quella tragedia non fosse vana e che anche Scalea aveva diritto a un pronto soccorso. Nessuno le rispose.
Il silenzio, del resto, rimane il protagonista assoluto di quest'ennesimo mostro italiano. L'ospedale di Scalea fu progettato alla fine degli anni '60, quando era già iniziata la grande speculazione edilizia che avrebbe infarcito di ecomostri la costa tirrenica calabrese. Dopo quasi 40 anni e oltre 20 miliardi di vecchie lire spesi dalla Cassa del Mezzogiorno, più altri tre o quattro persi dal Comune nellarbitrato con la ditta appaltatrice, il nosocomio è un grande scheletro degno dell'iconografia di Buzzati. Avrebbe dovuto contenere 120 posti letto e tutti i reparti stabiliti per un ospedale di zona, da chirurgia generale a ostetricia. Era quasi finito quando, negli anni 80, i lavori si interruppero per il suddetto contenzioso. Oggi i mancati reparti sono stanzacce abbandonate al degrado, alla sporcizia e alle visite di drogati e senzatetto. Nel 95, ignoti si portarono via persino il gruppo elettrogeno, valore un miliardo. Il silenzio, dicevamo. In questi 40 anni, incredibilmente, non sono mai emerse responsabilità né politiche né giudiziarie.
Il sindaco di Scalea si chiama Mario Russo, è a capo di una giunta di centrodestra e, ironia della sorte, fa il medico. Allindomani del suo insediamento si diede da fare per ottenere nuovi fondi per attivare almeno il pianterreno dellospedale fantasma, che però oggi ospita soltanto alcuni uffici dellAsl. «Ero riuscito a sbloccare due miliardi di un vecchio finanziamento per realizzare un progetto di riabilitazione diurna con annessa piscina - dice Russo -. Sarebbe stato un fiore allocchiello per la Regione, ma ci siamo fatti soffiare il piano da Maratea, che è a soli 20 chilometri».
Già, Maratea. Lannessione alla più efficiente Lucania resta il sogno segreto degli amministratori di questa Calabria del nord che si sente abbandonata da Reggio. Un centro di riabilitazione sarebbe stato comunque un lusso per unarea che non ha un pronto soccorso ma che conta ben tre cliniche private convenzionate. Russo punta il dito contro il governatore Loiero che proprio nei giorni scorsi ha siglato un accordo con la Turco per realizzare quattro nuovi ospedali in Calabria, costo previsto, 196 milioni di euro: «E questo di Scalea? Nellultimo piano regionale non lo hanno neppure menzionato...».
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