Scalfari merita il «penso», ma per lui conta il «pensiero»

Caro Granzotto, scorrendo l’ultima omelia domenicale di Eugenio Scalfari, mi sono soffermato sull’uso un po’ spregiudicato del pronome «gli» riferito al femminile. Riporto integralmente il passo in questione: «Mussolini si esibiva a dorso nudo fra i contadini e i muratori, ma nascondeva Claretta nonostante si vivesse in tempi di potere assoluto. Voglio qui ricordare la battuta recente di Alessandra sua nipote: a chi gli domandava quali fossero le differenze...

» Non è ovviamente pensabile che Scalfari, dall’alto del suo pulpito, ignori l’uso corretto di quel pronome per cui è da ritenere che quel gli sia stato adoperato a bella posta, magari solo per dare un taglio un po’ più giovanilista alla sua prosa, visto che, in nome di una maggiore, presunta freschezza del discorso o di una tendenza al popolare che fa tanto moda, è sempre più diffusa un’abitudine disinvoltamente costruita sull’ignoranza di un’elementare regola grammaticale. Ricordo che ai tempi della mia scuola media, se avessi scritto «gli» riferito a un sostantivo o nome proprio femminile, un bel frego con la matita blu e un bel quattro non me lo avrebbe tolto nessuno.

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