Politica

Scandalo a San Giovanni Rotondo: uno dei frati finisce sotto processo

Dirigente della fondazione licenziata perché è accusata di aver sottratto fondi. Ma, prosciolta, denuncia il rettore: "Gestione delle offerte poco trasparente"

Scandalo a San Giovanni Rotondo: 
uno dei frati finisce sotto processo

Milano - Una piccola querela, davanti al giudice di pace. Ma una storia che diventa grande e rimbomba se ci si ferma sui due protagonisti: frate Francesco Di Leo, rettore del santuario di Padre Pio, e Silvia Beatrice Dall’O, dirigente della fondazione Padre Pio da Pietrelcina prima di essere licenziata in tronco. È da anni, come dimostra questo modesto atto giudiziario, che a San Giovanni Rotondo, sulle montagne del Gargano, si combatte una guerra durissima. Una querelle dai tratti confusi e che però sembra chiamare in causa la gestione del ricchissimo obolo che milioni di pellegrini depositano quotidianamente sulla tomba del santo e gli equilibri di potere interni al santuario.

Tutto comincia quando la signora, dirigente dell’Ufficio accoglienza Pellegrini, viene licenziata. «Il rapporto di fiducia si era rotto e la signora è stata allontanata», spiega al Giornale frate Antonio Belpiede, portavoce della Provincia di Foggia dei minori cappuccini. La mossa, brutale, ha una sua spiegazione logica: sulla donna, su un laico che lavora nello stesso complesso e su un frate è stata aperta una minuziosa inchiesta della Procura di Foggia. L’accusa è pesantissima: associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita. In pratica, la Dall’O avrebbe fatto sparire buste su buste cariche di banconote donate dai fedeli. Uno scandalo. La cacciata, a questo punto, sarebbe stata inevitabile.

Una versione che però quadra fino a un certo punto. E che comunque la diretta interessata ribalta: «Prima di andare all’ufficio accoglienza - racconta la donna -io lavoravo all’economato e lì ho subito pressioni per compiere quel che non dovevo; in sostanza volevano la mia complicità nel tessere irregolarità». Quali? La Dall’O in una raffica di controdenunce sostiene che un frate le ordinò di portare un assegno all’estero. E lei rifiutò. Insomma, la dipendente avrebbe scoperto una gestione poco trasparente del tesoro amministrato dai frati e si sarebbe rifiutata di seguire le linee di condotta indicate. Non solo, in un secondo momento avrebbe anche avuto la sventura di finire in mezzo a una guerra interna al santuario perché l’ufficio accoglienza, la sua destinazione dopo l’economato, avrebbe tolto potere proprio a quest’ultimo scatenando gelosie e rancori fra i frati.

Una storia intricata, come si vede, che però approda a un primo punto fermo. Dopo una lunga, meticolosa indagine, con intercettazioni e decine di interrogatori, la Procura di Foggia archivia l’inchiesta sull’associazione a delinquere per infondatezza della notizia di reato. «Sono state sentite - spiega l’avvocato Vincenzo Comi - decine di persone ma si è scoperto che le fantomatiche buste sparite semplicemente non esistevano». Un boomerang.
Eppure, Silvia Beatrice Dall’O viene licenziata. Lei contrattacca, parla di quell’episodio oscuro, avvenuto all’economato nel 2003, si dichiara vittima di calunnia, mobbing, ingiurie, invita la Procura di Foggia a mettere il naso negli affari del santuario. E sulle offerte dei fedeli che, secondo stime non confermate, sfiorerebbero gli 80mila euro al giorno.

Così la contesa si sgrana in una lunga successione di battaglie davanti a un nugolo di giudici. La donna perde il primo round davanti al giudice del lavoro, ma il verdetto definitivo arriverà solo fra qualche mese. Ora, tocca al giudice di pace della capitale, il capo d’imputazione recita che frate Di Leo ha offeso l’onore della Dall’O scrivendo in una lettera frasi pesantissime di questo tenore: «È chiaro che sia avvenuto per lo meno un caso di appropriazione indebita» e ancora «forte è il sospetto che quell’appropriazione non sia stata affatto occasionale». «Io - replica lei - ho fatto solo il mio dovere, ma sono stata trattata ingiustamente come una ladra e in otto successive querele ho spiegato ai giudici tutti gli aspetti della mia via crucis». Insomma, il licenziamento, forse avventato, rischia di mettere in moto indagini a tappeto, smuovere interessi importanti, toccare equilibri precari. «Non ci risulta - spiega l’avvocato Comi - che la Procura di Foggia sia andata a vedere, come pure meriterebbe, la gestione del ricchissimo tesoro, ma in ogni caso la signora pretende giustizia, dopo aver sopportato a lungo accuse infamanti».
Non è facile raccapezzarsi e tenere il conto dei procedimento aperti su più fronti. Frate Antonio Belpiede mette i puntini sulle i: «La Dall’O ha chiesto d’urgenza il reintegro nel suo posto di lavoro ma il giudice, in prima battuta, le ha dato torto. Abbiamo fiducia nella magistratura e crediamo che tutto si chiarirà. Fra l’altro è doveroso precisare che frate Di Leo è chiamato in causa non come rettore ma come presidente della fondazione che gestisce il rapporto con alcuni dipendenti».

L’appuntamento, anche se è probabile uno slittamento, è per il 25 settembre. Due giorni dopo la festa di San Pio che ancora una volta calamiterà sul Gargano migliaia e migliaia di devoti. «Siamo sovraesposti», è la conclusione di frate Belpiede.

Chissà che idea si faranno i giudici.

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