Gli scaricabarile della sanità

È opportuno che gli scandali esplodano, ancor più opportuno sarebbe che dopo il soprassalto d’emozione causato dal botto, non calasse sull’opinione pubblica e su chi dovrebbe agire, provvedere, punire, il consueto fatalismo rassegnato. Quasi che le disfunzioni lamentate non derivassero da errori, colpe, a volte reati individuali o collettivi, ma da calamità di tipo biblico alle quali nessuna entità umana, con le sue deboli forze, può opporsi.
Il Policlinico «Umberto I» di Roma - lo si è sottolineato a ragione - non rappresenta l’intera realtà sanitaria italiana: che può contare su ospedali ben funzionanti e ottimamente gestiti. Sono d’accordo per averne avuto personale esperienza a Milano. Ma proprio questo lascia capire che il degrado non è inevitabile, che esiste, oggi come ieri, la possibilità di rispondere con decenza alle esigenze dei malati e alle esigenze del personale. Il sistema sanitario italiano è costoso, nella media dei Paesi sviluppati e anche al di sopra di quella media. Queste risorse si riversano dovunque, nel Paese. Tutte le strutture ne beneficiano. Se alcune fanno fronte in maniera soddisfacente ai loro compiti e altre sono in sfacelo, non è ragionevole mettere sul banco degli imputati l’avarizia dello Stato ossia in ultima analisi l’avarizia dei contribuenti. I cittadini pagano. I fondi ci sono. Evidentemente utilizzati in maniera pessima là dove si arriva a emergenze come quelle del Policlinico romano.
La ricerca dei responsabili di carenze o anomalie o catastrofi che affliggono il «pubblico» - e che nel caso del Policlinico romano sono sofferte in prima persona dai ricoverati - è impresa improba e quasi sempre sterile. Lo scaricabarile consente scappatoie a chiunque sia coinvolto nell’inchiesta che è scattata - come ritualmente avviene - e che poi si affloscerà lasciando dietro di sé, come unico risultato, una montagna di carte.
L’«Umberto I» ha un direttore generale, Ubaldo Montaguti, ben retribuito come è giusto che sia (pare che anche la moglie abbia nell’ospedale un incarico, esso pure ben retribuito). Spetterebbe a lui, insediato un anno e mezzo fa, di adeguare il Policlinico a livelli accettabili di efficienza. Ma la sua diagnosi sullo stato di salute dell’istituto a lui affidato è infausta. «Al Policlinico non è a norma un solo sasso». E ancora: «La situazione è irrisolvibile». Se questo è lo stato d’animo del massimo timoniere, si può facilmente immaginare quale sia il morale della ciurma.
E qui comincia il ping pong delle responsabilità. Ci vorrebbero dieci anni per sistemare le cose, avverte Montaguti. E poi: «È stato avviato un progetto di ristrutturazione, bisogna sbloccare risorse inutilizzate da sei anni e capire come aggredire i problemi». Perché le risorse sono inutilizzate da sei anni? Qualcuno se ne sarà occupato, o non se ne sarà - magari per negligenza - occupato. Ci è consentito di conoscere qualche nome? Adesso bisogna capire in qual modo i problemi vanno aggrediti? L’uomo della strada avanza qualche modesta proposta, ad esempio che i locali vengano puliti e i guasti a condutture e rubinetti riparati. Ma forse queste sono banalità.
Ma i dirigenti del Policlinico si sono avvicendati nell’ultimo decennio con ritmo vertiginoso, sette direttori generali e dieci direttori sanitari. È comprensibile che in quel vortice di arrivi e partenze avessero poca voglia di aggredire i problemi e si limitassero a prenderne filosoficamente atto.
Insigni clinici sostengono che l’«Umberto I», vecchio e inadeguato com’è, dovrebbe essere demolito. Probabilmente hanno ragione, da un punto di vista tecnico. Ma ho visto vecchie case in cui le tubazioni sono in ordine e le latrine non sono fetide.
Due ultimi rilievi. Mi tolgo il cappello di fronte alla bravura e all’abnegazione di medici e infermieri. Ma i 4.500 amministrativi per un fabbisogno di 2.500 sono la dimostrazione di criteri sicuramente non manageriali per le assunzioni. E poi.

Non giovano all’ospedale «Umberto I» e altri certi accesi interventi sindacali che in generale premiano non il dipendente bravo, zelante e onesto, ma il nullafacente. Comunque niente paura, c’è l’inchiesta ministeriale. Ad maiora.

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