Scatta la trappola dei pm Vogliono indagare il Cav

Per il Riesame Lavitola e il premier istigarono Tarantini, che ieri è stato scarcerato, a mentiredavanti all'autorità giudiziaria. A meno di ulterio­ri colpi di scena Berlusconi sarà indagato

Scatta la trappola dei pm 
Vogliono indagare il Cav

Simone Di Meo - Massimo Malpica

Roma - Poco prima di mezzanotte, il Tribunale del riesame ha rimes­so tutto in gioco e ha fatto scattare la trappola: i giudici hanno annulla­to l'ordinanza di custodia cautela­re in c­arcere per Gianpaolo Taran­tini e sua moglie Angela Devenuto, che tornano quindi liberi, confer­mando al contempo quella per Val­ter Lavitola, che dunque resta lati­tante. Il colpo di scena è però un al­t­ro: i giudici hanno ritenuto sussi­sten­ti l'ipotesi di istigazione a men­tire davanti all'autorità giudiziaria. Ciò significa che, a meno di ulterio­ri colpi di scena, Silvio Berlusconi sarà indagato perché, secondo i pm, avrebbe indotto il manager ba­rese a dichiarare il falso. La decisio­ne del Riesame, di fatto, significa anche che il Tribunale si è ritenuto competente sull'istanza presenta­ta dai pm, scavalcando la decisio­ne del gip Amelia Primavera. Il fa­scicolo sarà trasmesso alla Procu­ra di Bari, presso cui è incardinata l'inchiesta sulle escort e dove Gianpy avrebbe «mentito» per la prima volta, e lascerà Roma, dov' era giunto pochi giorni fa su dispo­sizione del giudice delle indagini preliminari. Una decisione che aveva acuito lo scontro tra la procu­ra di Napoli e quella di Roma. Gli at­triti tra gli uffici giudiziari guidati da Giovandomenico Lepore e Gio­­vanni Ferrara, che non erano man­cati nemmeno nel recente passa­to, in questi giorni hanno raggiun­to l’apice con l’inchiesta sulla pre­sunta estorsione a Berlusconi da parte di Tarantini e Lavitola.

Per due volte il gip partenopeo Amelia Primavera aveva ribadito che la competenza territoriale non era della procura di Napoli, ma di quella romana. L’inchiesta anda­va dunque sottratta ai pm Woo­dcock, Curcio e Piscitelli e inviata nella capitale, dove sul «nuovo» fa­scicolo era già al lavoro il pm Saviot­ti. Eppure sotto il Vesuvio non si vo­leva mollare l’osso, nonostante l’ipotetica estorsione fosse senza dubbio passata per dazioni di da­naro avvenute a Roma. Lepore e i suoi sostituti, anzi, avevano rilan­ciato. Buttando una nuova carta proprio sul tavolo del Riesame, chiamato a decidere sulla scarcerazione di Gianpi, e ipotizzando l’in­duzione a rilasciare false dichiarazioni al pm. Un reato che «ha sco­perto» la trappola per il premier, che da «presunto estorto» potreb­be così ritrovarsi indagato per aver «influenzato» Tarantini a dire men­zogne. E pazienza se l’ipotesi di rea­to confermata dal Riesame ha fini­to, paradossalmente, per sbugiar­dare proprio quanto ipotizzato dai pm napoletani per chiedere l’arre­sto dei co­niugi Tarantini e dell’edi­tore dell’Avanti! Valter Lavitola, fa­cendo passare Berlusconi da parte lesa a futuro indagato.

Napoli aveva provato con ogni mezzo a tenere per sé l’ultima inda­gine contro il Cav, ma Roma non aveva alcuna intenzione di cedere. Di certo a piazzale Clodio nessuno ha gradito il palese tentativo dei col­leghi napoletani di evitare a ogni costo il decollo dell’inchiesta alla volta della capitale, tentando sem­mai di «deviarla» verso la Puglia: a Bari dove il filone escort ha avuto la sua genesi e dove ieri è stato deciso che metterà radici.

Una «prova di sfiducia» nei con­fronti dei magistrati romani, quel­la targata Napoli, che ha innescato quindi l’ennesimo conflitto tra i due uffici giudiziari. Due procure che,come si diceva,nell’ultimo pe­r­iodo si sono trovate più volte in at­trito per competenze territoriali ballerine o inchieste che si sovrap­ponevano. Era già successo per la P4.L’indagine di Woodcock e Cur­cio puntava, infatti, su un ipotetico centro di potere che aveva molto di romano e molto poco di napoleta­no. Così, dopo una riunione di co­ordinamento tra i magistrati delle due procure, lo scorso 12 marzo, Roma decide di fare la sua mossa. Sotto forma di missiva diretta ai col­leghi, spedita due giorni più tardi da Giovanni Ferrara. Nella lettera, il procuratore capo di Roma chie­deva il trasferimento nella capitale degli atti dell’indagine,perché Lui­gi Bisignani ( il lobbista indicato co­me capo della presunta loggia dai pm napoletani, ndr) è persona che vive e svolge la sua attività nella Ca­pitale, città in cui operano anche quasi tutte le persone sentite a som­marie informazioni che sono state prima menzionate». Il riferimento era ai vip dell’inchiesta,già ascolta­ti a Napoli. La replica arriva dieci giorni dopo, e le scintille non sono nemmeno troppo tra le righe: «La formale richiesta di trasmissione atti - scrive Lepore - mi impone una risposta come ho anticipato te­lefonicamente allo stato parzial­mente negativa che, come ho det­to, avrei preferito differire a un mo­mento successivo».

Uno scambio di sgarbi che non si è fermato lì:sto­ria­ancora più recente è il coinvolgi­mento dell’aggiunto romano Gian­carlo Capaldo (per una cena) nel­l’inchiesta napoletana su Marco Milanese, e nell’altra direzione, il deposito agli atti dell’inchiesta ro­mana sulla P3 delle intercettazioni tra Lepore e l’indagato Pasquale Lombardi.

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